Non è facile fare una sintesi dei tanti contenuti proposti da Luca Borzani all’”incontro di Rete” svoltosi alcuni giorni fa al Monastero. L’incontro – al quale hanno partecipato anche l’Associazione don Piero Tubino e Caritas – è stato promosso da Fondazione Auxilium, Volontari per l’Auxilium, Associazione per l’Auxilium, le Coop. Soc. Il Melograno ed Emmaus Genova, che da circa un anno si sono costituiti in “Rete” per meglio operare ed interagire nei settori in cui, a vario titolo, sono coinvolti e corresponsabili. il “dialogo – confronto sulla città” con Borzani – intellettuale, direttore de “La Città – Giornale di società civile“, già presidente di Palazzo Ducale – aveva lo scopo di approfondire aspetti della vita cittadina nella quale siamo presenti perché, pur occupandoci in particolare delle realtà più fragili, il nostro intervento non può non tener conto di un contesto generale che propone molti segni di preoccupazione. Eccone alcuni, segnalati da Borzani e lasciati alla nostra valutazione. Gli indicatori ci consegnano una immagine di Genova che, sotto diverse voci, è avamposto degli elementi di crisi presenti nel quadro nazionale.

Siamo una città che:
fatica a misurarsi con le realtà globali. Tre temi su tutti: immigrazione, delocalizzazione delle imprese, cambiamenti climatici;

moltiplica le periferie, che non sono solo più quelle di una volta, geograficamente ai margini, ma ormai si incontrano anche al centro o nei quartieri limitrofi;

perde popolazione, con un alto tasso di denatalità che non è compensato dalla presenza degli immigrati storici, presenti a Genova da generazioni;

– si impoverisce progressivamente, aggiungendo alle povertà “tradizionali” nuove forme di povertà: basti sapere che il 3% dell’imponibile più significativo a Genova corrisponde al 40% dell’imponibile delle classi più povere. Tra le povertà non economiche, ma ad esse strettamente collegata, primeggia e preoccupa quella derivante dall’abbandono scolastico, pari al 14% degli studenti;

non investe sui giovani: migliaia di giovani sono senza futuro e senza speranza. In Liguria sono 41mila i giovani che non studiano e non lavorano (Neet) contro 31mila universitari. La disoccupazione giovanile è al 34%Urge un intervento educativo che coinvolga innanzitutto le famiglie che non sembrano o non sono in grado di occuparsi del fenomeno. Non bastano i lodevoli sforzi tradizionali (ad es: doposcuola), per “salvare i ragazzi”, occorre occuparsi del territorio, investire su nuove politiche per la famiglia;

invecchia: la Liguria ha un indice di vecchiaia pari a 258, significa che per ogni ragazzo sotto i 14 anni ci sono 2 anziani sopra in 65. I giovani sostanzialmente sono una “straordinaria minoranza“;

spreca risorse umane, ambientali ed economiche: basta citare, a titolo di esempio, lo spreco di futuro per i giovani, lo spreco di 30.000 alloggi sfitti a fronte di una cronica emergenza abitativa, lo spreco di socialità in un tessuto urbano in cui sono sempre meno gli spazi comuni e i luoghi di aggregazione diventano gli spazi commerciali…  E via così, per arrivare a sprecare persino gli stranieri che potrebbero portare valore e che invece non accogliamo, trasformiamo in clandestini e regaliamo alla criminalità;

non riesce a vivere il cambiamento in maniera costruttiva: si sopravvive nella logica dell’andare avanti così, senza sguardo, senza capacità di riconoscere l’altro e gli altri e soprattutto di interpretare la realtà globale.

E’ un quadro che certamente rischia di togliere forza alla speranza e invece bisogna averne consapevolezza per fare la propria parte, provare a costruire alternative. Luca Borzani ci ha offerto un primo spunto, che riteniamo essenziale: occorre creare spazi di socialità in cui recuperare capacità di condivisione, di progettazione e di responsabilità, spazi in cui fare cultura. “Penso che la città oggi possa essere uno straordinario luogo di risorse – ha concluso Borzani – In cui costruire e ridisegnare processi alternativi di sviluppo e nuovi modelli di welfare. Questi nuovi disegni, però, devono essere rapidi e non durare decenni, perché i tempi che viviamo sono assolutamente repentini, i processi si sviluppano e cambiano molto velocemente e questo accorcia anche i tempi “sociali”, le fasi di vita di una generazione. Bisogna conoscere e rispettare tutto questo, se vogliamo smettere di generare nuovi sprechi e nuove povertà.”