di Gigi Borgiani
direttore

Quanto sia lungo il tunnel scavato dal Covid19 non lo sappiamo e forse non lo sapremo mai con certezza, ad oggi qua e là si comincia a dire che si vede la luce in fondo al tunnel. Mah! Sì, forse, qualche luccichio, qualche lampadina ad intermittenza. Piccoli segni di speranza. Con la buona volontà di molti, quasi tutti, con l’abnegazione di chi è tuttora in prima linea, forse abbiamo intaccato il guscio proteico del virus per attaccare il suo patrimonio genetico, per farlo mutare, per fargli capire che ancora un volta l’uomo è il più forte. La palla passa a chi ha il compito di trovare i rimedi (vaccini e terapie). A noi per ora il dovere di resistere ancora qualche tempo. I richiami a resistere, a non vanificare quanto è stato fatto in queste settimane, ripropongono il tema della responsabilità personale e collettiva con l’augurio che non si ceda a richieste che esprimono certamente comprensibile stanchezza, che non va assecondata anche se, chi rema contro, approfitterà di ogni scontento per farsi paladino dei lamenti.

Certo sono tanti, forse tutti coloro che invocano il ritorno alla normalità.

Ma attenzione. Cosa significa oggi normalità? E’ tornare tutto come prima o il Covid19 ci ha insegnato qualcosa? Nel momento in cui gli italiani si appellano a unità, a stringersi (virtualmente) per superare la prova, c’è chi sta facendo le prove per riportare tutto come prima, con le beghe politiche di bassa lega, con la ricerca di consensi, provocando ancora una volta comportamenti di individualismo, di interesse privato, di indifferenza. Si cerca il ritorno a quel che si faceva prima, alle solite abitudini che dovranno fare i conti con questioni vecchie che però hanno necessità di prospettive nuove. E allora addio unità, solidarietà. L’ora d’aria rischia di diventare il tempo di ognuno per sé. Ma, come recita il detto, “se abbiamo fatto trenta, facciamo trentuno!

Abbiamo ancora un po’ di tempo per riflettere e ripensare il futuro.

Intanto: cosa ci hanno insegnato le morti “anonime”? Il dolore, la sofferenza sono realtà da allontanare o da accettare? Le bare che se ne vanno sui mezzi militari fanno solo emozione o ci richiamano a solitudini che abbiamo abbandonato, a incapacità a stare vicino al vecchio, al malato, sempre con la speranza di non essere toccati? Quale considerazione della vita nostra e altrui? Quale vita per chi resta e per chi verrà? Le morti “anonime” se ne vanno ma restano le ferite affettive e quelle materiali di molti, di tanti, di troppi.

La corsa solidale espressa in queste settimane è segno di voler cambiare qualcosa? Le ferite hanno bisogno di tempi di cura, di convalescenza per rimarginarsi. Purtroppo abbiamo toccato con mano la fragilità di tutti, ma le persone che da sempre sono nella fragilità vogliamo farle rientrare nelle nostre preoccupazioni o torneranno nella loro “normalità” di esclusione, di scarto?

La politica la lasciamo in mano ai solti mendicanti di consenso, ai populisti, a coloro che “siamo sulla stessa barca” ma non fanno altro che evidenziare le sfumature negative, gli errori , le imprecisioni, i ritardi? Le critiche vanno bene e fanno bene, ma i toni non vanno bene. Con le polemiche non si risolve. Se la normalità è tornare alle contrapposizioni di sempre e non si apre la porta ad una “novità di relazioni” che ci coinvolge tutti, sacrifici, rinunce e balconate non serviranno a nulla.

C’è bisogno di salute e c’è bisogno di pane!

Se ci fossi stato io, caro lei!!!”. Facile e comodo a dirsi, più facile che contribuire a seminare incoraggiamento. Intanto chi c’era si è trovato in mezzo ad una situazione imprevedibile e di dimensioni vastissime e di difficile controllo e contenimento. E’ stato fatto il possibile ed è stato fatto con la partecipazione dei cittadini. Non lasciamo che lo scontento o la rabbia di qualcuno prevalga sul sentimento generale, lasciando la porta aperta agli speculatori politici.

Covid19 ci ha insegnato che “è importante partecipare” e, partecipando, tutti si può anche vincere e insieme vinceremo tutti.

Novità di relazioni” . E’ questo che dobbiamo mettere a fuoco. Volendo fare riferimento al Decreto che ha liberato risorse per le fasce più deboli colpite da necessità materiali (fame!) constatiamo l’importanza di avere assegnato direttamente ai Comuni il compito della distribuzione delle risorse.

E’ un fatto estremamente importante la  sinergia tra il nostro Comune, il Terzo settore – che finalmente può uscire da quel connotato di assistenzialismo che gli viene attribuito –  e quegli organismi (Caritas innanzitutto) e quelle associazioni/enti che noi animiamo (e serviamo). Questa sinergia “necessaria”  è perché ancora una volta  che le questioni sociali si risolvono cen le risorse e le competenze di tutti, che insieme si può e che abbiamo bisogno gli uni degli altri, a tutti i livelli.

“Novità di relazioni” per una città nuova. A chi trova il pelo nell’uovo e fa della critica gratuita e della polemica una bandiera politica (con la p molto minuscola), diciamo che chi è stato davvero in trincea, chi ha lottato per la vita e per la salute, chi ha accolto e si è fatto carico (ancora di più e in maniera davvero straordinaria!) delle persone più sole, fragili, scartate, chi ha dato da mangiare, chi ha messo a disposizione risorse, chi ha accettato una “reclusione” non facile, chi ha dovuto sopportare lutti tragicamente…. non vuole tornare ad una normalità antica ma desidera davvero costruire insieme, dare vita ad una comunità di cittadini responsabili che hanno partecipato alla sventura e che si impegnano a partecipare ad una nuova avventura di bene comune.

Anticorpi. Sì, ci siamo fatti gli anticorpi contro il Covid19. Abbiamo anticorpi e farmaci per il Sovid20 (SocialVirusDisease20!), uno dei tanti virus che possono intaccare la voglia di vivere ‘condividendo’. E’ il tempo in cui ci impegniamo a contagiare con virus positivi e allontanare quelli che ostacolano il buon vivere. Abbiamo già scritto di cambiamento, di relazioni e per questo sono necessari quegli anticorpi che hanno il nome di fiducia, reciprocità, integrazione, solidarietà, sobrietà,  semplicità, unità, umanità, libertà.

Certo, una libertà “limitata” (e vigilata!). Abbiamo forse mal sopportato questo regime di libertà limitata ma abbiamo potuto imparare che il rispetto delle distanze non è “rifiuto” ma è rispetto degli altri. Libertà (e diritto) di non essere contagiati, libertà (dovere) di non contagiare. Abbiamo forse imparato che nel tempo dell’illimitatezza, l’uomo ha bisogno di riconoscere quei limiti che non sono preclusioni, ostacoli, coercizioni ma sono l’accesso alla responsabilità, alla convivialità, al desiderio di infinito, di pace, di serenità e vera speranza che accomuna tutta l’umanità.

(Foto: Edwin Hooper – Unsplash)

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