di Luigi Borgiani, direttore

Nel messaggio che Papa Francesco ha indirizzato al Forum economico mondiale di Davos (Svizzera), che si è svolto in questi giorni, ancora una volta leggiamo un accorato appello per una rinnovata ed incisiva attenzione alla persona, alle persone, soprattutto quelle povere, quelle emarginate, escluse dai soliti noti processi di sviluppo che altro non fanno che aumentare disuguaglianze.

Il Papa si rivolge ai dirigenti nel mondo degli affari, ma l’affare dei poveri, della disoccupazione chi riguarda? Siamo ormai più o meno consapevolmente immersi in una ulteriore rivoluzione industriale; una rivoluzione che in nome della tecnologia, del progresso (e interessi connessi) penalizza sempre di più l’uomo a vantaggio della macchina. Siamo nel mondo dei droni, dei robot ma siamo lontani dalla cura della casa comune, quella casa fatta di uomo e natura, uomo e relazioni che pare non importino a nessuno. Siamo, nonostante tutto, anestetizzati dalla cultura del benessere, ci si commuove e preoccupa a comando (dei media) ma non si incide a favore di una famiglia umana dove la persona, ogni persona, sia al centro, sostenuta e non schiacciata dall’economia.

Rimando al testo del messaggio indirizzato dal Papa al Forum, invito le persone di buona volontà almeno a leggere con la speranza che alla lettura segua un’altrettanta volontà di fare qualcosa, di prendere posizione, di non rassegnarci. Perché è dovere dei credenti, e spero di rivolgermi davvero a credenti, coltivare e custodire la terra che ci è stata affidata e non continuare a permettere che questa sia assoggettata al vantaggio (spesso criminale) di pochi. Ci rendiamo conto che mentre si incoraggiano progresso e benessere continuano a prevalere morte e distruzione? E’ sufficiente guardare a ciò che succede nel nostro paese nella cosiddetta “Terra dei fuochi” per renderci conto di essere spettatori di un declino dell’umano.

Cosa ci blocca, cosa impedisce un’azione, una presenza che intacchi il modello che ci viene imposto? C’è una diffusa, sottile, nascosta paura di scomodarci, mascherata da un senso d’impotenza con la quale si cercano giustificazioni. Ma la responsabilità che abbiamo la mettiamo da parte. Si ha paura del futuro, si ha paura di perdere qualcosa, di perdere diritti e privilegi acquisiti e che non si vogliono condividere. Molto spesso, purtroppo anche nei nostri circoli ecclesiali, ci si lamenta e ci si preoccupa (tanto per fare un esempio concreto) della questione dei migranti, dei profughi. Non è raro sentire espressioni del tipo: “Perché non se ne stanno a casa loro!”. D’accordo, ma noi cosa facciamo perché davvero queste persone possano stare a casa loro?

Sta decollando una Campagna, promossa anche da Caritas, dal titolo “Il diritto di rimanere nella propria terra!” Ecco: questa potrebbe essere una buona occasione per prenderci cura delle persone costrette a migrare, per dire – con i fatti – che prima di tutto esistono le persone. Smartphone, robot, droni, tecnologia non potranno mai sostituire il valore, la dignità e il cuore dell’uomo. E l’uomo, ogni uomo, ogni donna di questo nostro tempo devastato e frammentato hanno urgente bisogno di ritrovare il senso e la dignità dell’essere e del convivere.