di Federica Rando
Operatrice Coop. Soc. Il Melograno

E a un certo punto, giunge il susseguirsi sempre più rapido di raccomandazioni, indicazioni, limitazioni, decreti legati a Coronavirus: ci si ritrova a dover reinventare la vita di un Paese intero, ma anche quella di un gruppo di educatori, di una comunità genitore/bambino, di un alloggio sociale, di due alloggi protetti, di un centro di aggregazione per bambini, di alloggi per famiglie in difficoltà, di un servizio educativo per adulti e di un servizio educativo per la famiglia… Reinventare ciò che si può, ciò che per mandato va mantenuto operativo. Alcuni servizi dell’Area Minori e Famiglie vengono sospesi, altri proseguono, in quanto ospitano minori o comunque situazioni da tutelare. Ci ripetiamo spesso che una caratteristica del lavoro dell’educatore è la creatività, soprattutto nell’emergenza (che poi, diciamocelo, quando mai non lavoriamo nell’emergenza?) Ma questa è l’emergenza nell’emergenza e le nostre equipe si sono interrogate, hanno condiviso idee e proposte rispetto alle strategie di gestione di servizi tanto complessi e specifici, hanno discusso, nel senso che si è anche alzata la voce, complici la tensione, lo smarrimento e la paura. Sì, perché poi, l’educatore è una persona come tante, è un genitore, un figlio, un parente che a fine turno torna a casa, consapevole del rischio che potrebbe correre nel tragitto in autobus o in treno e del pericolo che potrebbe rappresentare per i propri familiari. 

Gli educatori de La Staffetta “perdono” i loro bambini, ma anche i bambini “perdono” La Staffetta e le loro famiglie un luogo di cura per i propri figli. Si cerca di accompagnare comunque queste famiglie con telefonate informative e chiarificatrici sulla situazione e disponibilità telefonica per i compiti: sembra sempre di fare poco perché, per noi abituati alla vicinanza, tra un telefono e l’altro passa molto più di un metro. Ma no, non è vero, La Staffetta non ha perso i bambini e viceversa perché se è vero che non apre i locali, tiene comunque aperto in modo simbolico un luogo tanto cruciale e da’ segnale di esserci comunque. “5×5” “Avvicina il telefono”, “sì, ma sposta la mano dal quaderno che non vedo”, “devi fare più o meno?” “Che tipo di aggettivo è?” Sono frasi quasi urlate durante una videochiamata gracchiante e che sembrano poca cosa, ma per chi è dall’altra parte significa attenzione, cura, vicinanza, nonostante tutto.

Reinventare Il Cedro è una scommessa quotidiana, fatta di aggiustamenti continui, di interrogativi incalzanti, di esigenze emergenti. Si tratta di tenere insieme 17 persone, tra mamme e bambini ai quali si aggiungono gli educatori in turno: insieme, ma non assembrati, a un metro di distanza. Spiegalo ai bambini. Quant’è un metro? “Più o meno da lì a là. Ora, però, vieni qui che ti soffio il naso!” Il problema è che non si può soffiare un nasino a un metro di distanza, così come non si può asciugare una lacrima, massaggiare una bua, abbracciarsi dopo essersi corsi incontro… Sono gesti di cura e di vicinanza e un metro, spesso, è una distanza troppo grande. Spiegalo a loro. Spiega ad alcuni di loro, poi, che per un po’ non potranno vedere il proprio papà, dato che sono sospese le visite in struttura così come gli incontri protetti. E spiega alle loro madri che, nel caso fortunato in cui è presente una famiglia di origine o comunque una rete di sostegno esterna che normalmente sosteniamo, incoraggiamo e aiutiamo a consolidare, bisogna sospendere i contatti diretti. Spiega che la spesa va fatta in maniera “previdente” quando sei consapevole che a volte, dovevi ricordare il latte anche in tempi non sospetti. Spiega che non si può girovagare senza una comprovata motivazione, anche se qui dentro sembra mancare l’aria ed è un terreno fertile per i più banali nervosismi, così come per i più profondi malesseri psichici. Spiega che per mangiare bisogna fare i turni in cucina e rispettarli rigorosamente, senza dilungarsi troppo in chiacchiere, facendo venire meno la convivialità e la condivisione che sono i collanti della vita comunitaria. Spiega a madri già fragili che comprendi la loro fatica nell’occuparsi dei propri figli in una tale situazione di compressione che non aiuta di certo in caso di iperattività o di altri disturbi… E così, troppo spesso, in questi giorni, abbiamo la sensazione che quelli che sono i nostri strumenti di lavoro più preziosi debbano essere messi da parte, lì, a un metro di distanza; ci chiediamo, inoltre, se tutto il lavoro delicato e paziente fatto finora dovrà essere ricominciato da capo o potrà proseguire da dove è stato sospeso.

Presso Il Mirto si aggiunge la preoccupazione che riguarda le madri lavoratrici: da un lato, quelle a cui sono state sospese le borse lavoro e che si trovano senza rimborsi né possibilità di richiedere bonus, dall’altro, quelle che proseguono il proprio lavoro, ma hanno i bambini a casa da scuola e una baby-sitter, quando se la possono permettere, un conto, è pagarla qualche ora, un altro, tutto il giorno… 

Per quanto riguarda Amankay, Il Ciliegio e gli altri alloggi, che si trovano “dislocati” rispetto a Casa della Giovane e meno monitorati per mandato e natura, le difficoltà di cui sopra si mescolano alla preoccupazione di non essere stati abbastanza efficaci nelle raccomandazioni: l’educatore è consapevole di non essere onnipotente e di quanto spesso il suo “tocco” non vada a segno come auspicato. Questa consapevolezza, nell’odierna situazione, ci fa percepire come profondamente vulnerabili e a rischio. 

In riferimento ai nostri servizi, ho sentito spesso questa metafora: all’interno dei percorsi che intraprendono con le persone, gli educatori piantano dei semini che, molto probabilmente, non vedranno germogliare mai nell’immediato, ma che forse, germoglieranno un domani, nelle loro vite future, quando meno se lo aspettano, al momento giusto. Ecco, io so che alcuni semi vengono trasportati dal vento e fanno chilometri per poi attecchire e germogliare, per cui… cosa volete che sia un metro.

foto: Anna Kolosyuk – Unsplash