II mercoledì di Quaresima
P. Nicola Gay
Presidente Associazione e Fondazione S. Marcellino
Mercoledì 24 Febbraio

Nel Vangelo di oggi (Mt 20, 17-28) vorrei sottolineare uno scarto, potremmo dire qualcosa di strano. Leggiamo che di fronte alle affermazioni di Gesù circa la passione a cui va incontro salendo a Gerusalemme, Gesù stesso e i suoi discepoli, ed in modo particolare la “madre dei figli di Zebedeo”, sembrano stare su due linee completamente diverse. I discepoli non vogliono cogliere che Gesù dovrà soffrire, sembrano rifiutarsi di guardare in faccia questa realtà. Specie quella madre va da tutta un’altra parte rispetto alle affermazioni di Gesù, fino a anteporre a quelle parole di sofferenza una domanda sulla gloria: che i suoi figli stiano alla destra e alla sinistra del Signore.

Questo punto ci tocca molto da vicino. Nella Bolla di Indizione di questo Giubileo, al numero 15, Papa Francesco scrive: “È mio vivo desiderio che il popolo cristiano rifletta durante il Giubileo sulle opere di misericordia corporale e spirituale. Sarà un modo per risvegliare la nostra coscienza spesso assopita davanti al dramma della povertà e per entrare sempre di più nel cuore del Vangelo, dove i poveri sono i privilegiati della misericordia divina.” La nostra coscienza assopita! Lo sappiamo bene. Siamo invasi da moltissime informazioni di morte e di guerre. È un peso così forte assorbire tutta questa sofferenza che alla fine non reggiamo, ci sentiamo impotenti, sentiamo che è quasi meglio non rendersi conto del male del mondo e ci assopiamo, per non stare male e per non soccombere. Anche nella parabola del buon samaritano Gesù allude a questa coscienza assopita: è quella del sacerdote e del levita che passano oltre il dolore del viandante mezzo morto sulla strada. L’unico che “vede” quell’uomo è il samaritano: egli si rende conto di quello che è capitato e ne ha compassione.

Anche noi, come i discepoli, facciamo fatica a capire e ad accettare il dolore di Gesù, la sua sconfitta. La madre ed i suoi figli tentano di passare oltre a questa realtà. È invece necessario fermarsi: le opere di misericordia sono occasioni concrete per farlo e per risvegliare la nostra coscienza assopita.

Oggi riflettiamo in particolare sul “vestire gli ignudi”, sulla mancanza di protezione di molte persone: nudi di fronte al freddo, alle intemperie, senza casa, poveri che non hanno nulla di proprio. Persone scacciate dalle stazioni cittadine, spesso nascoste dai cartoni. Per non vederli, non di rado si chiudono nottetempo le nostre stazioni, addirittura mettiamo impedimenti alle panchine pubbliche perché non vi si mettano a dormire. Certo, ci sono anche tante realtà pubbliche, laiche ed ecclesiali che mettono a disposizione servizi per accogliere e soccorrere queste persone. Ma l’appello è per ciascuno di noi, perché diventiamo capaci di vedere il dolore di queste persone. Se non vediamo ciò che è male nel mondo, non vedremo neppure ciò che è bene. Dobbiamo vedere la povertà ed agire. Come dice San Paolo, dobbiamo prenderci cura delle parti del corpo più deboli ed esposte. Dovremmo vedere così la nostra vita e la nostra società, con un’attenzione maggiore per le persone più povere, che ci chiamano a diventare davvero “come Dio”, cioè ad essere ed agire come Egli è ed agisce: avere compassione, usare misericordia.

Dobbiamo coprire quella nudità che è esposta al freddo del clima ma anche al freddo di relazioni, di progetti, di amicizia, di futuro. Dobbiamo crescere nell’attenzione personale ma anche nella capacità di sensibilizzare la nostra società e di influire positivamente sulla sua politica sociale. Il Papa ci ha ricordato proprio pochi giorni fa che una politica che costruisce muri e non ponti non è cristiana. In sintesi, dobbiamo rendere concreto il Padre nostro che ogni giorno preghiamo.

Dobbiamo vedere la realtà dal punto di vista degli altri. Siamo invitati a fare come Gesù: servire e non essere serviti. Il Signore ci aiuti a cogliere questo punto di vista, a cogliere la ricchezza della misericordia che ci invita a portare agli altri quella stessa fiducia di cui Dio ci fa oggetto. Come Dio ci mette al primo posto, così noi dobbiamo mettere al primo posto i nostri fratelli. Per essere sempre più conformi al Cristo, a cui desideriamo dare la vita.