di Luigi Borgiani, direttore

La prima forma di indifferenza nella società umana è quella verso Dio, dalla quale scaturisce anche l’indifferenza verso il prossimo e verso il creato” (Papa Francesco).

Anche i cristiani rischiano di diventare indifferenti a Dio, e quindi indifferenti all’uomo, ma se perdiamo di vista il volto di Cristo, si smarrisce il volto dell’umano e tutto di noi diventa incerto, discutibile, trattabile: vita e morte, amore e famiglia, libertà e relazioni” (Card. Bagnasco).

C’è sintonia tra quanto scrive il Papa nel Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace e le parole del nostro Arcivescovo nella Messa di Natale.

Indifferenza”. Parola che è risuonata più volte nei discorsi, nelle omelie pronunciate e ascoltate in questi giorni. Una parola che scuote e che aiuta a riconsiderare il nostro modo di pensare e di agire. Gli anni passano ma i problemi restano. I primi segnali di questo 2016 non sono incoraggianti, ma gli auguri che ci siamo scambiati sono un segno della speranza che ci anima e che ci invita a credere nella vita, a servirla in tutte quelle situazioni drammatiche che coinvolgono un numero di persone sempre in crescita. Tra queste dobbiamo ancora considerare i migranti. Senza dimenticare, nel modo più assoluto, le persone “nostre” che da sempre bussano alla nostra porta, il fenomeno migratorio sembra assumere dimensioni preoccupanti sia per i numeri sia per i continui ostacoli, pregiudizi e scelte (a livello dei singoli paesi) che non favoriscono né accoglienza né integrazione.

Non possiamo fermare le marce dei popoli, soprattutto dal Sud verso il Nord del mondo – ha affermato in questi giorni il nostro Arcivescovo – o comunque dalla moltitudine dei poveri, dei feriti, di coloro che vivono drammi di guerra e di violenza, di persecuzione per la fede, verso paesi che si spera possano offrire un domani migliore e una libertà più vera”. E ancora: “Noi siamo dentro a questa marcia universale che coinvolge non solo gli uomini ma l’intero universo. Dobbiamo vivere la nostra vita, vivere dentro a questo cammino globale di popoli”.

Che fare di fronte ai fenomeni globali (nei quali inseriamo anche quello del terrorismo)? Innanzitutto non rassegnarci alla paura e all’impotenza. In secondo luogo, recuperare la coscienza di appartenere ad un popolo e ad una cultura che non si piega al “paradigma antropocentrico”, al pensiero unico, al dominio del mercato ma privilegia l’uomo, ogni uomo. Per questo, come sollecita il Papa nella “Laudato si’”, lo sforzo che ci compete è quello di “raccogliere”, radunare le persone di buona volontà per una azione comunitaria, non isolata, che faccia presenza nelle questioni, a partire da una corretta informazione e da una presa di coscienza per tentare di rispondere ai timori che affliggono il mondo.

In Auxilium stiamo mettendo a punto alcuni progetti attraverso i quali vorremmo “stare” sempre di più in mezzo alle persone e in mezzo alle questioni. Passare gradualmente dalle pur doverose e “obbligatorie” fasi di ascolto, accoglienza e assistenza ad un approccio più deciso verso le cause dei fenomeni.