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di Giuliana Bacchione
operatrice Il Melograno

Quando gli operatori Melograno dei servizi contro la Tratta (Area Persone Straniere Auxilium) e quelli dello Sprar Famiglie (Area Minori e Famiglie Auxilium) condividono un caso, trasversale ai sistemi posti in essere, e il caso va a buon fine, la gioia trascende i livelli di intervento, si contamina di riflessioni. La Commissione per i Richiedenti Protezione di Genova ha riconosciuto a Maria (nome di fantasia) il massimo della salvaguardia, l’Asilo Politico. Non tutti ne comprendono il valore.

Da un punto di vista pratico Maria avrà un Permesso di Soggiorno di cinque anni rinnovabile e la carta di viaggio, ovvero il passaporto. Da un punto di vista invece del riconoscimento del titolo, esso contiene in sé un principio solido: la persona titolata non solo ne “ha bisogno ma ne ha il diritto”. Debbono esserci delle ragioni in più rispetto ad una Protezione Umanitaria. A Maria è stato riconosciuto quel di più di verità; la ragazza infatti ha saputo assumere su di sé la responsabilità del raccontare, superando l’umiliazione e gestendo al meglio il dolore.

La difficoltà che incontrano le persone che vengono da lontano è quella, per l’appunto, di sapersi raccontare. Viene chiesta loro una narrazione. Viene domandato loro un comportamento irreprensibile e molte altre cose. Tra le difficoltà non sottovalutiamo quella di comprendere il funzionamento del Diritto Internazionale e di quello Nazionale. Una impresa titanica. Molti di essi, soprattutto tra le ragazze, sono analfabeti.

Tornando al tema della gioia degli operatori sul caso, essa rappresenta il frutto più bello di un lavoro che è durato circa due anni, che ha visto l’avvicendamento dei sistemi e di diverse figure professionali. Sarà il nuovo approccio multidisciplinare ad indurci a collaborare sempre di più? Non è semplice per un educatore rinunciare a quel “pezzetto di relazione d’aiuto” per allargare l’orizzonte ad altri, che con diverse potenzialità agiscono. Parimenti non avremmo ottenuto il risultato se non avessimo tenuto insieme sia l’approccio alla persona-famiglia che l’analisi di contesto.

Il Piano Nazionale Antitratta infatti descrive un “meccanismo di cooperazione tramite cui gli attori statali, quelli locali, e l’expertise del privato, adempiono ai propri obblighi per proteggere la vittima”. Una metodologia del genere chiama in causa non solo il singolo operatore, ma le comunità, che sui diversi piani dialogano, intervengono, mettendo a disposizione le diverse competenze. Una comunità che accoglie. È il principio del “Referral”, termine tecnico e un po’ ostico, che parla di assunzione di responsabilità da parte di tutti gli attori che nell’insieme, per l’appunto, costituiscono la comunità. Una dimensione collettiva che fa un po’ a pugni con la personalizzazione narcisistica del post-moderno.

Molti nostri ospiti resistono alla rappresentazione, non sanno raccontare il dolore, il bisogno o il diritto: sta a noi operatori facilitare l’incontro tra i singoli, i sistemi e le culture. Non è comodo ma è possibile.

Sono molti anni ormai che alle ragazze, causa il traffico a scopo di sfruttamento, viene riconosciuta loro la Protezione massima. Una piccola rivoluzione che tenta di sottrare quei poveri corpi dalla croce del “moralmente sospette”.