di Gigi Borgiani, direttore
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Vent’anni fa, quando a Genova esisteva la Commissione Giustizia e Pace, già si argomentava sulla questione delle migrazioni. Lanciammo un allarme non tanto dettato da paura o preoccupazione ma con l’intenzione di condividere un fenomeno in divenire che si sarebbe amplificato e che non sarebbe restato marginale anche nel nostro paese. La dilatazione della globalizzazione avrebbe coinvolto non solo meccanismi di mercato e di sviluppo, ma avrebbe interessato milioni di persone libere (in teoria) di migrare. Qualcuno sorrideva ed etichettava il nostro servizio ed impegno come quello dei soliti “impallinati” della pace (considerati quindi come pacifisti ideologizzati e non come pacificatori!). Ed ora siamo a fare i conti con l’accoglienza in emergenza spesso con poca simpatia (se non avversione) anche da parte di persone “di chiesa” o definentesi “cattoliche” e con scarse e difficili prospettive di una reale integrazione.

Con le poche risorse (umane) abbiamo proseguito attraverso il Tavolo Giustizia e Solidarietà (coordinato da Caritas Diocesana) a mantenere alta l’attenzione sulle migrazioni e sui temi, più generali, del contrasto alle tante situazioni di povertà, fame, mancanza di istruzione e servizi sanitari presenti ieri come oggi nel mondo globalizzato. Da quegli anni si sono succeduti inviti a ragionare e a prendere provvedimenti adeguati. Puntualmente ogni anno abbiamo letto interventi e messaggi di tre Pontefici che, con stili diversi ma con la stessa forza, hanno gridato il nome della giustizia e della pace, hanno invocato istituzioni attente, hanno messo in rilievo che quello che oggi chiamiamo “paradigma tecnocratico” (vedi Papa Francesco nella Laudato si’) non funziona e non cura le ferite provocate da interessi iniqui che la politica nazionale ed internazionale si guardano bene dal contrastare.

Quanti fomentano la paura nei confronti dei migranti, magari a fini politici, anziché costruire la pace, seminano violenza, discriminazione razziale e xenofobia, che sono fonte di grande preoccupazione per tutti coloro che hanno a cuore la tutela di ogni essere umano”. Auspico di cuore che il 2018 conduca alla definizione e all’approvazione da parte delle Nazioni Unite di due patti globali, uno per migrazioni sicure, ordinate e regolari, l’altro riguardo ai rifugiati. In quanto accordi condivisi a livello globale, questi patti rappresenteranno un quadro di riferimento per proposte politiche e misure pratiche. Per questo è importante che siano ispirati da compassione, lungimiranza e coraggio, in modo da cogliere ogni occasione per far avanzare la costruzione della pace: solo così il necessario realismo della politica internazionale non diventerà una resa al cinismo e alla globalizzazione dell’indifferenza.”

Sono due frasi del Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2018 (“Migranti e rifugiati: uomini e donne in cerca di pace”in cui Papa Francesco ritorna in maniera decisa sulla questione migranti e si riferiscono alla negligenza della politica: sono una condanna e un auspicio che peraltro richiedono una partecipazione più ampia ovvero una azione politica che sia sostenuta dalla gente e non rimanga nelle mani e nelle parole di persone disinteressate (o meglio “interessate” al proprio) o inadeguate. Più volte abbiamo scritto che le parole del Papa hanno bisogno delle nostre mani e della nostra voce, che dobbiamo uscire dalla logica della delega, sostenere chi, come nel caso dei migranti, si adopera onestamente per il bene comune e per i beni comuni, che non dobbiamo lasciarci annichilire dal pensiero dominante e dagli attuali mezzi di “distrazione” di massa. Scrive ancora il Papa nel messaggio (che invito a leggere): “Abbiamo bisogno di rivolgere anche sulla città in cui viviamo questo sguardo contemplativo, «ossia uno sguardo di fede che scopra quel Dio che abita nelle sue case, nelle sue strade, nelle sue piazze […] promuovendo la solidarietà, la fraternità, il desiderio di bene, di verità, di giustizia», in altre parole realizzando la promessa della pace.” “Trasformerà così in cantieri di pace le nostre città, spesso divise e polarizzate da conflitti che riguardano proprio la presenza di migranti e rifugiati.”

Con la  consueta concretezza Papa Francesco indica quattro verbi che possono orientare “nelle politiche pubbliche, oltre che nell’atteggiamento e nell’azione delle comunità cristiane. Questi ed altri contributi intendono esprimere l’interesse della Chiesa cattolica al processo che porterà all’adozione dei suddetti patti globali delle Nazioni Unite.” Accogliere, proteggere, promuovere e integrare i migranti.

Mi soffermo solo sul primo verbo: accogliere  significa certamente offrire ospitalità. Favorire e ampliare le possibilità di ingresso legale. Ma dietro a questo verbo c’è tutto il valore e la capacità  di  accogliere in generale l’altro. E questo  richiede un impegno concreto, una catena di aiuti e di benevolenza, un’attenzione vigilante e comprensiva, la gestione responsabile di nuove situazioni complesse che, a volte, si aggiungono ad altri e numerosi problemi già esistenti, nonché delle risorse che sono sempre limitate”Accogliere significa anche la volontà e la disponibilità ad accogliere i fenomeni in sé, per la loro portata. Consiste nel come ci poniamo di fronte alle “nuove situazioni complesse”, dal come ne conosciamo e affrontiamo le cause.

Nasce a questo punto la domanda: le comunità cristiane accolgono le sfide del tempo presente o restano confinate nel regno della delega? E’ bello e significativo che anche nella nostra diocesi ci siano organizzazioni che aprono le porte ai migranti (e non solo) ma se coloro che non sono direttamente coinvolti non aprono cuore e mente alle “questioni nuove e complesse”,  si corre il rischio di relegare la nostra missione di cristiani a nicchie di buona volontà e di vanificare l’operato di quanti, a nome di tutti, accolgono l’altro. E’ necessario ed urgente un recupero di consapevolezza e di responsabilità a partire dallo sguardo di fede di cui scrive il Papa, per non lasciare la città in mano ai “non mi interessa”, ai “chi se ne importa”, ai desertificatori e ai semplificatori del pensiero, a chi vuol addormentare il senso della vita, la necessità di valori fondanti, l’apertura alla trascendenza.

Ricordo il tema di un grande convegno romano di qualche anno fa: ”Con Dio o senza Dio tutto cambia!È  proprio vero! Noi abbiamo il Dio dell’impossibile ma non possiamo aspettare con il naso all’in su, nel vuoto in attesa che Dio faccia qualcosa. Lui ci ha affidato una terra da coltivare e custodire. Alziamo lo “sguardo di fede che scopra quel Dio che abita nelle sue case, nelle sue strade, nelle sue piazze […] promuovendo la solidarietà, la fraternità, il desiderio di bene, di verità, di giustizia, in altre parole realizzando la promessa della pace.