di Gigi Borgiani
direttore
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Ad una prima lettura, “Ottobre missionario” può suonare come un ritorno al passato quando quel mese era dedicato al sostegno di coloro che operavano in nome del Vangelo nei paesi di quello che ora non consideriamo più “Terzo mondo”. Animazione, sensibilizzazione, preghiera, raccolte a favore dei missionari (sacerdoti, religiosi, laici) impegnati in terra di missione nella difficile impresa di coniugare evangelizzazione e promozione umana. Negli anni questo impegno è sempre continuato e il sostegno a chi opera in terra di missione non è mai venuto meno. Siamo però di fronte ad un fenomeno di progressiva scristianizzazione, di confusione di pensiero che, offuscando il senso di appartenenza alla Chiesa, ne inficia anche la dimensione missionaria che è di tutti i cristiani. Papa Francesco richiama costantemente all’impegno missionario, a vivere come chiesa in uscita. ma senza scomodare e appellarsi sempre al Pontefice basta guardare un po’ indietro, riprendere gli insegnamenti del Concilio e portare a consapevolezza che l’annuncio del Vangelo è missione di tutti i credenti ed è missione da agire da tutti oggi, qui ed ora.

Si tratta di divenire sempre più credenti e professanti, il che significa anche divenire credenti e cittadini. Uomini e donne che nella quotidianità testimoniano il senso della vita, dell’uomo, del suo presente e del suo futuro; il senso della vita sociale e comunitaria; la profondità di quei valori ai quali spesso ci appelliamo per “difenderli” ostinatamente mentre, proprio per il loro “valere”, dovrebbero essere promossi e parlare attraverso la vita di ciascuno. Il valore primario che dobbiamo annunciare è Cristo morto e risorto.

Questo mese quindi dovrebbe essere integralmente e globalmente missionario, impegnato per recuperare il nostro essere credenti e professanti. Le strade da percorrere sono quelle note: sono quelle della interiorità e della fraternità, quelle delle relazioni e del rispetto di ogni altro che ha diritto ai nostri diritti. Sono quelle della solidarietà e della partecipazione. Ci sono ponti da costruire – in tutti i sensi- e non possiamo aspettare che siano sempre altri ad agire. Ci sono tante cose che cambiamo e che vorremmo cambiassero ma sarà possibile una realtà più a misura di tutti se cambieremo l’atteggiamento del cuore, se sapremo stare nel mondo non “privatamente” o ideologicamente ma con lo stile della missione.

Dai missionari, che hanno lasciato tutto per andare, in nome di Cristo, a cercare di combinare qualcosa di buono in terre lontane, dovremmo imparare a lasciare quello che appesantisce o appanna la nostra vita cristiana; scegliere stili di vita comunitari più esigenti; discernere insieme come “stare” nella storia quotidiana della nostra città; non essere periferie chiuse o colorate di sacro ma aiutarsi e rispondere a quell’“Andate in tutto il mondo!, Non è un invito riservato. Non occorre andare lontano. Qui ed ora ci sono tantissime realtà che aspettano la Buona Novella: quelle più tristi e drammatiche, le tante miserie dei nostri giorni; quelle della solitudine e dello smarrimento; quelle di una cultura sempre più lontana dall’uomo.

Il primo passo da fare è cercare compagni di viaggio. Parrocchia, associazioni, gruppi sono il punto di partenza della missione, sempre con la tensione ad unire, ad integrare, a far crescere corresponsabilità. Non si tratta di “organizzare” ma di vivere e far parlare la vita. Il missionario in Africa – o qualsiasi altra parte del mondo – non parte con il portafoglio pieno o con i mattoni per costruire baracche, chiesetta o pozzi. Piuttosto “sta”, ascolta, condivide, accompagna e poi, se è il caso, costruisce, fa qualcosa. Imparare ad ascoltare la strada, a riconoscere l’altro, gli altri, i bisogni siano essi materiali o culturali/spirituali/morali. Troppo spesso spendiamo tempo e forze nel fare programmi e calendari senza guardarci attorno; si organizzano cose già fatte o se ne inventano di nuove a seconda di ciò che offre il mercato dell’informazione, delle necessità, delle emergenze. La missione ha bisogno di ascolto, di reciprocità, di relazioni, di ricerca e soprattutto di quella interiorità capace di esprimere, attraverso le azioni e i gesti, il cuore della Buona Novella.

P.S.
Forse era lecito attendersi dal Monastero la notizia di un qualche incontro di “inizio anno”, di ripresa delle “attività”, dopo la parentesi estiva. In realtà siamo “andati in continuità”, anzi qualcosa di più. Infatti, oltre alla prosecuzione quotidiana dei servizi e alle collaudate ‘vacanze’ ai monti (con Caritas e le persone senza dimora a Cesana Torinese) e al mare (con “Casanostra” – La Palma e Il Mandorlo – e le persone con Hiv/Aids, a Levanto), quest’anno abbiamo sperimentato la prima apertura estiva de “Il Basilico”, convalescenza protetta al S. Martino per persone nel disagio, ordinariamente attiva solo nei mesi invernali. Un risultato che abbiamo intensamente desiderato e realizzato insieme a Caritas, grazie a tutti gli enti che collaborano strettamente con noi e al sostegno economico della Regione Liguria.

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