di Luigi Borgiani, direttore

Non entro nel merito dei risultati delle elezioni regionali, ma una delle prime affermazioni, a caldo, del neoeletto Presidente della Regione mi lascia un po’ perplesso e preoccupato. “Stop ai migranti”! A parte il fatto che non credo che questo sia uno dei problemi prioritari della regione, senza affrontare la questione esprimo solo la speranza che del fenomeno migratorio si possa serenamente parlare e mi auguro anche che il concetto di “migrante” sia corretto e ampio. Perché, se di migranti si parla a livello delle istituzioni, credo si debba tener presente che migranti non sono solo coloro che arrivano dagli sbarchi e che anche la Prefettura di Genova è richiesta di accogliere (persone che in genere nel giro di due giorni lasciano la città). Migranti non sono solo coloro che chiedono asilo o che risiedono dopo un accesso con visto turistico e non provengono solo dal Nord Africa ma anche dall’Est europeo o dalla Cina. Migranti sono anche i nostri giovani costretti a lasciare Genova e la Liguria per cercare lavoro altrove. Il fenomeno migratorio è legato alle guerre, alla fame, allo sfruttamento improprio e ingiusto delle terre altrui, ma è anche legato alla ricerca di lavoro, di opportunità di vita. Quindi occorre parlarne e parlarne serenamente. Si tratta di coniugare nel modo più corretto possibile i verbi accogliere, accompagnare, integrare, aiutare. E questo riguarda tutti.

A partire dalle nostre comunità. Sono queste davvero disposte alla accoglienza, alla solidarietà, alla carità? Perché di carità si tratta. Una carità che si esercita certo nella emergenza e nella prima necessità ma che soprattutto deve arrivare ad un esame delle cause di certi fenomeni e mirare più alla globalizzazione della solidarietà che non a quella delle indifferenze e della esclusione. Si apre quindi un orizzonte di impegno che supera di molto affermazioni, slogan e frasi fatte e sbrigative. Dobbiamo soprattutto non perdere di vista l’orizzonte dei credenti, che è evangelizzazione e umanizzazione.

Le nostre comunità cristiane sono comunità di carità? Una carità che non significa certo solo elemosina, primo soccorso, assistenza, emergenza. La comunità nasce e vive non per sé stessa ma per diffondere Carità, ovvero amore, cioè tutto ciò che è a vantaggio di tutta la famiglia umana, nessuno escluso. Ho girato in lungo e in largo il Paese, da diocesi a diocesi negli anni dl mio servizio in AC e anche recentemente. Il termine comunità si spende sempre molto volentieri, ma difficilmente si trovano realtà che davvero vivono in sinergia i punti nodali del nostro agire pastorale. Catechesi, liturgia, carità! Spesso manca in modo incisivo proprio l’aspetto della carità che non va oltre le espressioni prima citate. Manca la forma di “carità politica”, quella che completa le opere di misericordia con uno sguardo e una attenzione supplementare e affronta cause e questioni che spingono poi alle opere stesse che non possono aspettare.

Ho incontrato comunità cristiane vive laddove oltre alla consuetudine della liturgia e a quella formativa ci si adopera per la giornata o le domeniche di “Avvenire”, purtroppo sconosciuto, incompreso, talvolta deriso strumento di stampa dei cattolici (ma sappiamo che a molti cattolici non interessa il pensiero del Papa, tantomeno quello dei Vescovi né la vita della Chiesa e pensano – molto erroneamente – che Avvenire sia “solo” questo); comunità dove ci si adopera “quotidianamente” in attività di oratorio (“carità educativa”) che, con le famiglie che si mettono in gioco, vanno oltre alla solo attività settimanale; comunità dove ci si adopera per gli “slot-mob” per contrastare il gioco d’azzardo; comunità dove si creano cooperative per avviare e sostenere il lavoro dei giovani; comunità che organizzano momenti costanti di confronto con e per le realtà del territorio. Potrei continuare, sono solo alcuni esempi che a mio avviso sostengono la necessità di riflettere di più su queste forme di carità nelle nostre comunità: carità educativa, culturale e politica. La nostra azione pastorale, ben radicata nella fede e in tutto quello che la alimenta (Eucaristia, Parola, Misericordia) deve sconfinare in “azione sociale”. Non certo fine a sé stessa ma come presenza in mezzo alla gente, come presenza capace di far comprendere il valore e la dignità di ciascuno pur in un contesto non facile, capace di stare accanto e non contro.

Tutto questo significa non delegare, non pensare che tutto si possa risolvere affidandoci ad una scheda elettorale, a promesse o a slogan emozionali. C’è una frase del nostro Arcivescovo che riprende la nota espressione di Paolo VI: “La Chiesa considera la politica come «una forma alta di carità». Il politico è colui che per amore si dedica alla giustizia. Decide, cioè, di dedicarsi alla vita sociale, al suo buon funzionamento, sapendo che lo scopo della politica è la giustizia. Questa, che è un valore morale, significa riconoscere a ciascuno il suo”. Dobbiamo essere un po’ più politici proprio perché l’esercizio della giustizia, quello del bene comune non vada alla deriva come un barcone carico di disperati in balia di venti ostili ma sia un quotidiano segno di vita, speranza secondo il Vangelo.

Può essere utile, per avviare la riflessione, riprendere e meditare sulle “cinque vie” indicate nella traccia in preparazione al prossimo Convegno ecclesiale di Firenze. Cinque verbi che possono aiutare davvero a cambiare qualcosa nelle nostre comunità.

USCIRE

Come far sì che i cambiamenti demografici, sociali e culturali, con i quali la Chiesa italiana è chiamata a misurarsi, divengano l’occasione per nuove strade attraverso cui la buona notizia della salvezza donataci dal Dio di Gesù Cristo possa essere accolta?

ANNUNCIARE

Le comunità cristiane stanno rivedendo la propria forma per essere comunità di annuncio del Vangelo? Sono capaci di testimoniare e motivare le proprie scelte di vita, rendendole luogo in cui la luce dell’umano si manifesta al mondo? Sono in grado di generare un desiderio di «edificare e confessare», esprimendo con umiltà ma anche fermezza la propria fede nello spazio pubblico?

ABITARE

Come disegnare il futuro del cattolicesimo italiano, erede di una grande tradizione caritativa e missionaria, tenendo conto delle sfide che i mutamenti in atto ci pongono innanzi? Negli anni ’80 i vescovi italiani lanciarono un imperativo: «Ripartire dagli ultimi». Come tener fede, oggi, a questa promessa?

EDUCARE

Come possono le comunità radicarsi in uno stile che esprima il nuovo umanesimo? Come essere capaci, in una società connotata da relazioni fragili, conflittuali ed esposte al veloce consumo, di costruire spazi in cui tali relazioni scoprano la gioia della gratuità, solida e duratura, cementate dall’accoglienza e dal perdono reciproco?

TRASFIGURARE

Le nostre celebrazioni domenicali sono in grado di portare il popolo ancora numeroso che le celebra a vivere quest’azione di trasfigurazione della propria vita e del mondo? Come introduciamo ed educhiamo alla fede un popolo molteplice per provenienza, storia, culture?