di Gigi Borgiani
Direttore

Si è concluso il periodo in cui abbiamo meditato e contemplato le meraviglie dell’incarnazione e ne siamo rigenerati. L’Epifania, come recita il detto, si porta via tutte le feste ma così non è perché l’Epifania del Signore, seguita subito dal suo Battesimo, ci sollecita ad essere dei manifestanti. In virtù del Battesimo siamo parte di un popolo che accoglie il Messia e che decide di seguirlo. Questa sequela non è certo solo un’adesione di fede ma richiede di passare dalla gratitudine del dono alla sua contaminazione. Nell’incarnazione non troviamo solo la luce e la forza individuale per convertirci, per modificare il nostro stile di vita ma anche la volontà di trovare un modo nuovo di essere chiesa, popolo che cammina non per un sentiero “suo” ma in mezzo alla gente, agli altri, a coloro cui dobbiamo manifestare il Messia. Ecco, un popolo messianico rinnovato che, mentre si confronta e dialoga in uno scenario chiamato “cammino sinodale”, tiene lo sguardo costantemente sulle vicende del mondo, della città che non sono mai altro dalla vita del popolo di Dio ma sono l’altro con il quale si desidera stare al mondo.

Donare, manifestare ad altri ciò che gratuitamente abbiamo ricevuto in questo tempo complesso, sconvolto dalla pandemia ma non solo, non è facile. Per noi popolo di Dio, di fronte al groviglio di questioni che si pongono a livello globale e locale, significa soprattutto impegnarci a lavorare per portare quel “senso” perduto che è all’origine di tanto smarrimento, di rincorsa babelica, di ingiustizia, di squilibri. Senza lasciarsi prendere da sfiducia o sensazione di impotenza che rinnegherebbe lo spirito del Natale appena celebrato ma con la consapevolezza di essere a nostra volta sorgenti di luce, ci mettiamo in cammino non tanto per mostrare una fedeltà a valori o a dottrine sociali (che indubbiamente offrono indicazioni preziose)  ma per creare le condizioni di quella “amicizia sociale” di cui scrive Papa Francesco nella “Fratelli tutti”.

Verrebbe da dirci: non affanniamoci a trovare vie e soluzioni in risposta ai tanti guai che affollano il nostro esistere, non preoccupiamoci ma “occupiamoci”, come ebbe a dire qualche tempo fa il nostro arcivescovo! E la prima occupazione è proprio quella di rinnovare un popolo che nella quotidianità offre opportunità di incontro, di dialogo aperto a tutti, luoghi ospitali in cui sollevare lo sguardo da terra. “Avvicinarsi, esprimersi, ascoltarsi, guardarsi, conoscersi, provare a comprendersi, cercare punti di contatto, tutto questo si riassume nel verbo ‘dialogare’. Per incontrarci e aiutarci a vicenda abbiamo bisogno di dialogare. Un Paese cresce quando dialogano in modo costruttivo le sue diverse ricchezze culturali: la cultura popolare, la cultura universitaria, la cultura giovanile, la cultura artistica e la cultura tecnologica, la cultura economica, la cultura della famiglia e la cultura dei media” (Fratelli tutti, nr. 198.199).

E noi potremmo dire un popolo (di Dio) cresce se sapremo mettere insieme le ricchezze, le competenze, le disponibilità di ciascuno per dare vita a quell’arte di vivere che si connota con la fraternità. Però, per non rischiare di chiuderci in una sorta di rifugio intimistico e consolatorio in cui far rimbalzare belle parole e bei propositi per uno slancio verso la fraternità universale, occorre a mio avviso mettere a fuoco due elementi.

Innanzitutto aiutarci a riacquisire la nostra consapevolezza messianica che ci deriva dell’essere inseriti in un popolo in cammino. Secondo, scegliere uno stile di vita fraterno e missionario perché “se la musica del Vangelo smette di suonare nelle nostre case, nelle nostre piazze, nei luoghi di lavoro, nella politica e nell’economia, avremo spento la melodia che ci provocava a lottare per la dignità di ogni uomo e donna. Altri bevono ad altre fonti. Per noi, questa sorgente di dignità umana e di fraternità sta nel Vangelo di Gesù Cristo. Da esso scaturisce per il pensiero cristiano e per l’azione della Chiesa il primato dato alla relazione, all’incontro con il mistero sacro dell’altro, alla comunione universale con l’umanità intera come vocazione di tutti” (Fratelli tutti, 277).

Dal momento che questo popolo messianico deve camminare oggi, in questo nuovo anno permettetemi di concludere offrendo uno sguardo alla sfide più urgenti che interpellano il nostro desiderio/impegno di essere una fraternità sul modello del nostro Fratello Gesù. Sono i temi che l’Arcivescovo ha declinato nel discorso di fine anno: persone senza dimora; persone che affondano nel tunnel delle dipendenze e del gioco d’azzardo; persone carcerate e migranti senza opportunità di inserimento; famiglie disgregate, giovani sfiduciati. E ancora l’abbandono scolastico, la questione del lavoro e della casa, la denatalità, gli anziani soli… Sono temi per i quali ciascuno, ogni comunità può dire “I care”! Altrimenti l’Epifania oltre alle feste si porta via ogni pensiero, ogni sogno, ogni aspirazione ad essere ciò che siamo: seguaci del Messia, cristiani!

(Foto: Tobias Mrzyk_Unsplash)