di Gigi Borgiani
direttore

Quel che è stato sarà e quel che si è fatto si rifarà; non c’è niente di nuovo sotto il sole”.

Mi è tornato alla mente questo versetto del Qoelet (1,9) leggendo i primi paragrafi del Messaggio di Papa Francesco per la terza Giornata Mondiale dei Poveri, fissata per il 17 novembre prossimo. Il Papa rileva che, al tempo in cui venne scritto il Salmo (9,19) che dà il titolo al Messaggio (“La speranza dei poveri non sarà mai delusa”), “gente arrogante e senza alcun senso di Dio dava la caccia ai poveri per impossessarsi perfino del poco che avevano e ridurli in schiavitù”. Ma, aggiunge, “non è molto diverso oggi”. Infatti “la crisi economica non ha impedito a numerosi gruppi di persone un arricchimento che spesso appare tanto più anomalo quanto più nelle strade delle nostre città tocchiamo con mano l’ingente numero di poveri a cui manca il necessario e che a volte sono vessati e sfruttati”. Così “passano i secoli ma la condizione di ricchi e poveri permane immutata, come se l’esperienza della storia non insegnasse nulla”. Le parole del Salmo, dunque, “non riguardano il passato, ma il nostro presente posto dinanzi al giudizio di Dio”. Siamo noi che oggi dobbiamo “guardare” la realtà, considerarla alla luce del Vangelo e agire, come comunità cristiana, per eliminare le distanze tra ricchi e poveri.

Il Papa fa un elenco delle forme di “inequità”, di violenza, di sfruttamento del nostro tempo. Sono le realtà che viviamo quotidianamente anche nella nostra città, una “innumerevole schiera di indigenti”, per la quale ci adoperiamo. Sono realtà che, senza tante parole, costituiscono “un programma che la comunità cristiana non può sottovalutare”. Perché “ne va della credibilità del nostro annuncio e della testimonianza dei cristiani”.

Ancora una volta il Papa offre una giornata che non richiede gesti eclatanti ma un impegno che continua nel tempo. Questa continuità può essere garantita dalla vitalità e credibilità della comunità cristiana perché “nella vicinanza ai poveri, la Chiesa scopre di essere un popolo che, sparso tra tante nazioni, ha la vocazione di non far sentire nessuno straniero o escluso, perché tutti coinvolge in un comune cammino di salvezza.” Prosegue Papa Francesco: “La promozione anche sociale dei poveri non è un impegno esterno all’annuncio del Vangelo, al contrario, manifesta il realismo della fede cristiana e la sua validità storica. L’amore che dà vita alla fede in Gesù non permette ai suoi discepoli di rinchiudersi in un individualismo asfissiante, nascosto in segmenti di intimità spirituale, senza alcun influsso sulla vita sociale (cfr. Esort. ap. Evangelii gaudium, 183)”.

Ancora una volta siamo sollecitati all’azione comunitaria perché i gesti condivisi possono davvero cambiare e condizionare una politica che apparentemente è vicina alla gente ma non ne raggiunge né il cuore, né la ragione, né la dignità. Rasserenante Francesco, che non smette di spronare ad essere testimoni di speranza e di confermarci nella fede perché il Signore  non abbandona chi lo cerca e quanti lo invocano, non dimentica il grido dei poveri (Sal 9,13), perché “si possono costruire tanti muri e sbarrare gli ingressi per illudersi di sentirsi sicuri con le proprie ricchezze a danno di quanti si lasciano fuori. Non sarà così per sempre. Il ‘giorno del Signore’, come descritto dai profeti (cfr. Am 5,18; Is 2-5; Gl 1-3), distruggerà le barriere create tra Paesi e sostituirà l’arroganza di pochi con la solidarietà di tanti. La condizione di emarginazione in cui sono vessati milioni di persone non potrà durare ancora a lungo. Il loro grido aumenta e abbraccia la terra intera.”

Alla fine del Messaggio, il Papa si rivolge ai tanti volontari“ ai quali va spesso il merito di aver intuito per primi l’importanza di questa attenzione ai poveri”, chiedendo “di crescere nella loro dedizione”. Li esorta “a cercare in ogni povero che incontrate ciò di cui ha veramente bisogno; a non fermarvi alla prima necessità materiale, ma a scoprire la bontà che si nasconde nel loro cuore, facendovi attenti alla loro cultura e ai loro modi di esprimersi, per poter iniziare un vero dialogo fraterno”.

Ci impegneremo sempre di più perché la nostra famiglia della carità, le nostre case della carità diventino sempre più luogo di accoglienza, fraternità. Chiudo con una domanda: nelle nostre comunità ha senso parlare di “volontari”? Non dovremmo essere tutti discepoli-missionari per vocazione e per scelta?

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foto © fio.PSD