di Gigi Borgiani
direttore
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Gli  eventi della Settimana santa sono sempre ricchi di riflessioni, suggestioni e provocazioni. Certo, se non ci lasciamo provocare e riduciamo tutto alla sola partecipazione al rito, addio risurrezione. Nella breve omelia per la celebrazione del Venerdì santo cui ho partecipato, il celebrante ha insistito sul termine passione e ci ha invitato a non leggerla solo nella dimensione di ciò che Gesù ha patito come uomo ma come passione di Dio per l’uomo, tanto da patire anche fisicamente. Dio che si appassiona all’uomo! La riflessione che deve seguire provoca alcune domande: colgo il significato di questa passione? mi appassiono a Dio e all’uomo?

Alla risposta contribuiscono alcune affermazioni di Papa Francesco nella Liturgia della Via Crucis del Venerdì santo e nella Veglia pasquale, affermazioni che riporto per comodità ma anche “per scomodità” perché al solito sono molto sollecitanti, soprattutto se vogliamo parlare di risveglio e di resurrezione quotidiana.

“Le nostre generazioni stanno lasciando ai giovani un mondo fratturato dalle divisioni e dalle guerre; un mondo divorato dall’egoismo dove i giovani, i piccoli, i malati, gli anziani sono emarginati”. Il Papa ha denunciato la “vergogna di aver perso la vergogna” e ha invitato “a sfidare l’addormentata coscienza dell’umanità”. Coscienza addomesticata che sconfina nel silenzio, nello stare zitti: “Di fronte all’ingiustizia che ha condannato il Maestro, i discepoli hanno fatto silenzio; di fronte alle calunnie e alla falsa testimonianza subite dal Maestro, i discepoli hanno taciuto. Durante le ore difficili e dolorose della Passione, i discepoli hanno sperimentato in modo drammatico la loro incapacità di rischiare e di parlare in favore del Maestro; di più, lo hanno rinnegato, si sono nascosti, sono fuggiti, sono stati zitti”. È questa per il Papa la notte del discepolo “frastornato perché immerso in una routine schiacciante che lo priva della memoria, fa tacere la speranza e lo abitua al ‘si è fatto sempre così’”. È questa la notte del discepolo “ammutolito e ottenebrato che finisce per abituarsi e considerare normale l’espressione di Caifa: ‘Non vi rendete conto che è conveniente per voi che un solo uomo muoia per il popolo, e non vada in rovina la nazione intera’”.

È questa la notte del silenzio del discepolo che si trova “intirizzito e paralizzato, senza sapere dove andare di fronte a tante situazioni dolorose che lo opprimono e lo circondano”. “Questo è il discepolo di oggi  – ha detto ancora Francesco –  ammutolito davanti a una realtà che gli si impone facendogli sentire e, ciò che è peggio, credere che non si può fare nulla per vincere tante ingiustizie che vivono nella loro carne tanti nostri fratelli”.

La Pasqua invita a togliere la pietra che addormenta le coscienze, a rompere le abitudini ripetitive, a rinnovare la nostra vita, le nostre scelte e la nostra esistenza. Un invito rivolto a tutti perché tutti salvati dalla risurrezione. Come si può uscire dal silenzio, dal sonno rinunciatario? Guardando la realtà e raccogliendo le sfide che ogni giorno ci devono trovare coinvolti nel contrastare l’ingiustizia, l’indifferenza e l’individualismo, l’informazione che ci invade di mode e di apparenze e tace sui mali materiali e morali della società, dell’umanità. Uscire dal sepolcro della comodità, del quieto vivere (riprendiamo le affermazioni di qualche riga precedente), della rinuncia, del senso di impotenza che contrasta con la “potenza” della risurrezione.

Appassionarsi alle vicende dell’uomo per accompagnarlo alle vicende di Dio.

(in foto: E. Burnand, Les disciples Pierre et Jean courant au sépulcre le matin de la Résurrection, 1898)