di Massimiliano Guidotti
Coop. Soc. Il Melograno Genova

Quali sono, ad oggi, gli effetti del Decreto “Sicurezza e Immigrazione” voluto nell’Ottobre 2018 dall’allora Ministro degli Interni Matteo Salvini? Guardando ai servizi dell’Area Persone Straniere della Fondazione Auxilium, gestiti dalla Coop. Soc. Il Melograno, i numeri dicono quanto segue: 12 ragazzi accolti presso l’Accoglienza Notturna ‘Fassolo’, promossa da Caritas Genova e aperta ad Aprile 2019 per quanti escono dai CAS – Centri di Accoglienza Straordinari e non possono accedere al SIPROIMI (Sistema di protezione per titolari di protezione internazionale e per i minori stranieri non accompagnati) perché il loro permesso di soggiorno per motivi umanitari non è contemplato dal Decreto; nella struttura di Via Gagliardo dedicata al SIPROIMI, invece, trovano accoglienza 33 ragazzi, titolari di protezione internazionale o sussidiaria; altri 25 ragazzi abitano in tre alloggi in autonomia, a cui si aggiunge un nucleo familiare

Per analizzare e comprendere al meglio quali sono stati finora gli effetti del Decreto “Sicurezza e Immigrazione”, è necessario riassumere brevemente come il testo è intervenuto sui diversi aspetti del sistema dell’accoglienza in Italia. Si tratta di un decreto legge che interviene su differenti ambiti: pubblica sicurezza, accoglienza, cittadinanza e contrasto alla mafia. È stato emanato in un momento in cui in Italia gli arrivi di migranti segnavano un calo dell’80% rispetto al 2017 e dell’86% rispetto al 2016, una diminuzione netta delle richieste di asilo sia nel nostro paese che in Europa e una progressiva riduzione della presenza di persone nel sistema di accoglienza. Inoltre, dal 2015, si registrava una flessione dei reati in Italia, soprattutto di criminalità predatoria. Nello specifico, gli interventi del decreto sull’immigrazione che ad oggi hanno avuto ricadute più significative riguardano la modifica del sistema di accoglienza in Italia, l’abolizione della  protezione umanitaria, l’esclusione dei richiedenti asilo dall’iscrizione anagrafica.

COSA SUCCEDEVA PRIMA
Prima dell’approvazione di quel Decreto, per i richiedenti asilo in Italia c’era una “prima accoglienza” e una “seconda accoglienza”. “Hub” regionali e “CAS – Centri di accoglienza straordinaria” componevano la “prima accoglienza”, che serviva per soddisfare “le esigenze essenziali” come l’identificazione dello straniero, l’avvio della procedura di esame della domanda di asilo, l’accertamento delle condizioni di salute e la sussistenza di eventuali situazioni di vulnerabilità che comportavano speciali misure di assistenza. La seconda accoglienza, invece, era formata dalla rete territoriale dello “SPRAR – Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati” – con progetti di Enti locali, che vi accedono volontariamente, in cui vengono coinvolti piccoli gruppi di migranti – e puntava principalmente all’integrazione della persona, attivandosi una volta esaurita la prima fase di accoglienza e nel caso in cui i richiedenti fossero privi di mezzi di sussistenza adeguati. Nonostante questa fosse la previsione sulla carta, nella pratica la maggior parte dei richiedenti asilo restava comunque nei CAS senza mai accedere alla fase successiva.

COSA SUCCEDE ORA
Il fatto che i richiedenti asilo non possono più accedere alla rete dello SPRAR (oggi SIPROIMI) genera due conseguenze: intanto molte persone, non più accolte in alcuna struttura, si trovano senza alcun sostegno e prive di mezzi per sostentarsi, rischiando così di creare nuove sacche di marginalità e di finire nella rete del lavoro nero e della criminalità. In secondo luogo, potendo lo SPRAR prendere in carico le persone solo nel momento in cui diventano titolari di una delle protezioni previste dal decreto, devono ricominciare da capo il proprio iter di accoglienza e integrazione, allungando tempi e costi.

LA QUESTIONE COSTI
Nel dicembre 2018 il Ministero dell’Interno ha pubblicato il “nuovo schema di capitolato” per la fornitura di beni e l’erogazione dei servizi nei centri di prima accoglienza, che le Prefetture avrebbero dovuto seguire per le procedure di affidamento. Il nuovo schema di capitolato, “al fine di ridurre i tempi di permanenza nei centri e i costi conseguenti” e rafforzare le misure di verifica e controllo delle strutture, “individua i servizi di accoglienza limitandoli ai servizi essenziali alla persona” e “fornisce la stima dei costi medi da assumere a riferimento per la determinazione del prezzo di base di asta”. Viene così stabilito un ribasso del costo medio giornaliero per ogni persona migrante accolta che passa da 35 euro a 21,90 euro (con una differenza nella cifra in base al numero di persone accolte). Come in tutta Italia, anche a Genova molte cooperative e associazioni non si sono presentate alle gare d’appalto, ritenendo i costi non sostenibili e non sufficienti a garantire un’accoglienza dignitosa ai beneficiari.

L’ACCOGLIENZA NOTTURNA FASSOLO
All’interno di questo quadro si inseriscono alcune iniziative che hanno l’obiettivo di contrastare le conseguenze negative del decreto, in particolare quella di lasciare un gran numero di persone senza più alcun sostegno da un giorno all’altro: tutti i titolari di un permesso di soggiorno per motivi umanitari (il tipo di permesso più diffuso) infatti, in virtù del Decreto Legge, non hanno più avuto accesso alle strutture di accoglienza. Si è cercato, quindi, di dare una sistemazione alloggiativa almeno ad alcuni di coloro che sono rimasti fuori dal circuito. A questo fine, già ad aprile 2019, Caritas Genova ha promosso una piccola accoglienza notturna per 12 persone uscite dal circuito di accoglienza, con il supporto di alcuni operatori della Coop. Soc. Il Melograno che lavorano sul fronte dell’integrazione.

IL PROGETTO APRI
Caritas Italiana, inoltre, sta promuovendo il progetto “APRI”, acronimo per “Accogliere, Proteggere, Promuovere, Integrare” (i verbi usati da Papa Francesco in riferimento alle persone migranti) che mira a mettere a disposizione 1000 posti per sei mesi in 50 Diocesi e coinvolge le Caritas diocesane nello svolgimento sul territorio di attività di sensibilizzazione e nel reperimento di famiglie disponibili a fare da tutor alle persone inserite. Il progetto, sostenuto con fondi CEI e delle Diocesi,  non prevede la costituzione di centri collettivi ma favorisce la coabitazione in appartamento di poche persone, per un periodo di sei mesi, salvo situazioni eccezionali (tirocini e borse lavoro in atto). Caritas Genova sta promuovendo questo tipo di progettualità, che porterà a breve ad una esperienza di “housing sociale” per 7 persone.

IL FUTURO?
In tutto questo scenario le associazioni e tutti coloro che si occupano di accoglienza e integrazione sperano che, con nuove norme e nuove leggi, si possa tornare ad offrire un servizio migliore sia per le persone rifugiate che per la collettività, sulla quale ricadono inevitabilmente gli affetti delle decisioni istituzionali.

Articolo pubblicato su Il Cittadino – Settimanale Cattolico di Genova / nr. 10-2020