Come qualcuno forse ricorderà nei mesi primaverili della pandemia avevamo offerto alcuni spunti (lezioni di virologia) nell’intento di aiutare la riflessione, di fare in modo di trovare elementi che, nonostante le difficoltà del momento, potessero aprire spiragli di speranza, di cambiamento. Soprattutto elementi per riprendersi in mano una libertà che potesse condurre a nuovi stili di vita, a modi nuovi per le relazioni.
Avevamo colto il forte desiderio di ritorno alla normalità, ma ci chiedevamo anche: “quale normalità”?
Ma attenzione. Cosa significa oggi normalità? E’ tornare tutto come prima o il Covid19 ci ha insegnato qualcosa? Nel momento in cui gli italiani si appellano a unità, a stringersi (virtualmente) per superare la prova, c’è chi sta facendo le prove per riportare tutto come prima, con le beghe politiche di bassa lega, con la ricerca di consensi, provocando ancora una volta comportamenti di individualismo, di interesse privato, di indifferenza. Si cerca il ritorno a quel che si faceva prima, alle solite abitudini che dovranno fare i conti con questioni vecchie che però hanno necessità di prospettive nuove. E allora addio unità, solidarietà. L’ora d’aria rischia di diventare il tempo di ognuno per sé” (Lezione di virologia n. 5).
Come volevasi dimostrare, alla ripresa (snobbata e sottovalutata) dei contagi tocchiamo con mano che il desiderio di normalità altro non era che continuare a farsi i fatti propri, a vivere come se nulla fosse accaduto, senza restrizioni, senza vincoli, senza rispetto della libertà altrui che oggi significa rispetto della salute pur nella salvaguardia di tutto ciò che è necessario perché la vita sociale ed economica possa andare avanti.
Domandiamoci cosa sarebbe successo se in questi mesi, ben oltre ai guai delle persone in sofferenza per l’isolamento, non ci fossero state migliaia di persone che quotidianamente hanno sfidato la pandemia, che hanno sostenuto drammi umani, situazioni sanitarie al limite, solidarietà a chi è sprofondato nella povertà o anche semplicemente sopportato nell’interesse di tutti.  Non sono certo le persone che oggi si agitano, a torto o a ragione, pur in nome di indicazioni giuste, equilibrate, che devono essere inquadrate in diritti complessivi o che scendono in piazza (anche in modo violento) per invocare una normalità che rischia di essere ancora una volta individualista, di rifiuto a quel senso civico oggi più necessario che mai.
Come volevasi dimostrare, questi mesi hanno insegnato davvero pochino.
Ora che facciamo i conti con la drammatica ripresa dei contagi ci affidiamo alla paura, alla presunzione, ai DPCM , alla fuga dalle responsabilità. Già, perché come in ogni situazione della vita ci dobbiamo sentire parte di una comunità che deve far appello alla responsabilità e al buon senso di ciascuno senza aspettare sempre che qualcuno dia soluzioni (che in ogni modo saranno sempre imperfette, parziali). Non si tratta ora di mal sopportare sacrifici, di salvare la pelle.
Ancora una volta ci diciamo che oggi dobbiamo avere il coraggio di guardare al futuro.
Certo un futuro che spaventa ma che non ci può lasciare privi di iniziativa, di reazione, di cambiamento. Ritorna una precisa domanda posta da Papa Francesco nella Laudato si’:
“Quale futuro vogliamo lasciare ai nostri figli?”
Siamo noi oggi che non dobbiamo tentare di sopravvivere ma di lasciare qualcosa di umano, di umanizzante, di vivibile  a chi verrà dopo di noi. Siamo ben certi che l’incubo pandemico che stiamo attraversando prima (speriamo) o poi finirà. E allora che faremo?
Avremo messo in circolo gli anticorpi per una vita migliore, perché la pandemia ci ha insegnato qualcosa?
Oppure, come volevasi dimostrare, tutto tornerà ad una normalità illusoria, porta per ben altre pandemie? Sarà mai come prima? Viviamo un equilibrio sconvolto tra superficialità imperdonabili e allarmismi paralizzanti che modificano rapporti e relazioni da quelle mondiali, a quelle nazionali a quelle interpersonali. Siamo nel guado tra un “ora” che ci domanda di scegliere tra il “prima” e il “dopo”.
Se al dramma pandemia associamo gli altri aspetti di un mondo malato da tutti i punti di vista (ambientale, economico, sociale, morale) il dopo sarà possibile solo passando da un cambiamento che comincia da ciascun di noi, specie se, come credenti, abbiamo la responsabilità di coltivare e custodire la casa comune. Chi ha orecchi…intenda!
(Foto: Nick Bolton – Unsplash)