di Luigi Borgiani, direttore
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Il Congresso Eucaristico appena concluso è stata occasione per ricordarci ancora una volta che Eucaristia, missione e carità sono parole inscindibili. L’Eucaristia ci fa corpo, popolo che Dio si è scelto per essere segno di salvezza per tutti gli uomini. L’Eucaristia al centro della vita. In questo modo la celebrazione del Congresso richiama all’unità di popolo e quindi a ripensare l’appartenenza a questo popolo. Non si tratta quindi di una impostazione di vita “personale” ma di una scelta personale che si fonde con la universale chiamata alla santità e al compito di annunciare il Vangelo. Spezzare il pane non è mai fatto individuale ma ci riporta a rivedere la vita di ciascuno in dimensione comunitaria. Le prime comunità si distinguevano per l’assiduità nella preghiera, per lo spezzare del pane, per la condivisione dei beni, per l’impegno a far sì che nessuno fosse bisognoso. Se non vogliamo ridurre il Congresso ad evento si impone quindi una profonda revisione di vita per realizzare oggi un tipo di comunità davvero eucaristica (naturalmente adeguata ai tempi) segno “pubblico” di appartenenza a Cristo e alla sua Chiesa, alla sua missione.

Una comunità eucaristica non può non essere missionaria e oggi il nome della missione è soprattutto quello della carità. È senza dubbio la carità relativa alle opere di misericordia ma è anche quella “carità politica”, segno di una presenza cristiana orientata a ricercare insieme il bene comune possibile, evitando deleghe ma favorendo la responsabilità di tutti.

Offro due citazioni che possono aiutare la riflessione perché, partendo dall’Eucaristia, possiamo ambire di essere un popolo fedele alle proprie radici e al mandato ricevuto da Cristo.

“La carità non è per la Chiesa una specie di attività di assistenza sociale che si potrebbe anche lasciare ad altri, ma appartiene alla sua natura, è espressione irrinunciabile della sua stessa essenza” (Benedetto XVI, Deus caritas est).

“Per i fedeli laici l’impegno politico è un’espressione qualificata ed esigente dell’impegno cristiano al servizio degli altri. Il perseguimento del bene comune in uno spirito di servizio; lo sviluppo della giustizia con un’attenzione particolare verso le situazioni di povertà e sofferenza; il rispetto dell’autonomia delle realtà terrene; il principio di sussidiarietà; la promozione del dialogo e della pace nell’orizzonte della solidarietà: sono questi gli orientamenti a cui i cristiani laici devono ispirare la loro azione politica.” (Compendio della dottrina sociale, 565).

Nel concreto per noi a Genova quale può essere la prospettiva di una comunità eucaristica? Intanto acquisire la consapevolezza di esserlo; di essere uniti in Cristo ed essere in missione. In secondo luogo confermare impegni di servizio agli altri (vedi sopra) già presi o favorire nuove scelte invitando altri amici a collaborare alle proposte in atto attraverso quei piccoli gesti, quelle piccole disponibilità la cui somma però può avere grandi risultati. I “servizi” di Auxilium hanno necessità di persone che sappiano “stare con”, che sappiano condividere il bene del tempo oltre che condividere i beni materiali. Certo: la possibilità di fare del volontariato in Auxilium è sempre aperta. Ma abbiamo bisogno, più in generale, di cittadini che partecipino (in senso lato e in senso proprio, ad esempio agli incontri che ciclicamente promuoviamo) e che siano attivi per cercare insieme vie nuove, per animare “il servizio della carità”, per sollecitare le doverose e urgenti soluzioni politiche e istituzionali nel contrasto alle varie forme di povertà.

Purtroppo quello delle stragi sta diventando un fatto quotidiano da prima pagina. Colpisce ed impaurisce perché sono fatti che avvengono in casa nostra (se consideriamo l’Europa casa nostra!) e nascondono le stragi che con meno clamore sono perpetrate in ogni parte del pianeta. Un mondo di pace sembra lontano, molto lontano, poco desiderato, poco conveniente. Globalizzazione, mercati, progresso non hanno favorito una strada di pace, di giustizia, di umanità. Anzi! Gli idoli e i miti del nostro tempo stanno rivelandosi come l’ampia strada per l’indifferenza, per l’interesse, per le chiusure e gli egoismi del falso quieto vivere costantemente alimentati da paura, insicurezza e sfiducia.

Ma non dobbiamo rassegnarci. È ancora possibile vincere il male con il bene. Certo le stragi fanno notizia, sconcertano, emozionano; ma bisognerebbe che accanto ai fatti negativi emergessero con più evidenza quelli positivi che, nel silenzio, fanno strada ad una convivenza più umana. È noto l’aforisma: “Fa più rumore un albero che cade che un’intera foresta che cresce”! In un’epoca di desertificazione naturale e morale dobbiamo perseverare e far crescere alberi. O forse siamo noi quegli alberi che devono crescere in umanità e responsabilità.

Non possiamo aspettarci nulla da una politica (nazionale ed internazionale)  inconcludente e inadeguata ove mancano una autorità e una autorevolezza capace, ma soprattutto desiderosa e disposta a promuovere strategie e a prendere decisioni per contrastare i problemi più gravi che riguardano tutti e danneggiano inevitabilmente i più deboli a vantaggio degli interessi di pochi. A partire dai piccoli gesti di ognuno dobbiamo imparare ad impegnarci, a costruire un orizzonte integrato, capace di sguardo sulla complessità dei fenomeni che invece di fare strada fanno stragi. Ovvero: non possiamo accontentarci di essere un albero buono: occorre essere foresta! E allora, se da un lato sono importanti ed insostituibili le nostre generosità (di tempo e di denaro), dobbiamo imparare ad integrarci per strategie più incisive.

Non basta dare pane e tetto, lo abbiamo ripetuto più volte. Occorre dare voce e gambe a forme di contrasto alla povertà. È questo l’esempio quotidiano delle nostre attuali accoglienze. Ma ci sono tante povertà, tante fragilità che possono essere risolte solo con grandi cambiamenti di mentalità, di opinione e con assunzione di responsabilità. Senza lasciarci indebolire da chi terrorizza, da chi frammenta, da chi continua a presentare idoli invece che idee, da chi illude, da chi vende diritti e promesse precarie che gratificano pochi e non costruiscono coesione sociale e soprattutto non risolvono il vivere sociale globale.

Le nostre strutture sono sempre più assediate da persone che chiedono aiuto. Con l’aiuto di molti riusciamo a fare molto, ma queste strutture non possono continuare ad essere luoghi di accoglienza, di aiuto: devono divenire strutture capaci di pensiero e di forme di compagnia attiva tali da far aumentare gli alberi della foresta del bene, tali da dare fiducia e speranza contrastando le strategie del male.