di Mirco Mazzoli

Famiglia e lavoro. Sono queste le parole temibili delle famiglie rifugiate, i desideri inammissibili che ci fanno paura, che accendono le nostre proteste e ci fanno scendere in strada. Silva e Bright e i loro due bimbi Serina e Williams, Princess ed Ebenezer con il piccolo Francesco sono ospiti dell’Area Famiglie di Auxilium da qualche mese, in Vico Untoria. Ci accolgono negli appartamenti inaugurati lo scorso anno, dopo la ristrutturazione sostenuta dalla Fondazione Carige, oltre che da Caritas Diocesana e Auxilium: otto piani dedicati a famiglie in difficoltà, italiane e straniere, case pulite e decorose dove provare a riprendersi in mano la vita. Per queste due famiglie, tuttavia, come per la maggior parte delle persone rifugiate e richiedenti asilo, la vita per ora scorre lenta, malgrado gli sforzi degli operatori sociali e l’impegno dei volontari. È un tempo ovattato, sospeso, in cui cerchi, attendi, speri. Dei quattro, solo Ebenezer ha trovato un’occupazione ed è come una finestra da cui entra aria fresca. Bright, invece, tace, si passa la mano sulla testa e infine bofonchia a mezza bocca la sua frustrazione: “Senza lavoro non avremo futuro”. Bright faceva il camionista tra Niger, Burkina e Mali, un mestiere che in Italia non può certo riciclare, non in tempi brevi. “Perché siete partiti? Perché siete venuti in Italia?”

La risposta è la più frequente ma la si dimentica troppo spesso. “Non volevamo venire in Italia.” Il vero snodo di queste storie è la Libia, punto di non ritorno, di promesse mancate, di opportunità spezzate, di imbarchi presi un po’ per costrizione e un po’ per disperazione. Un paese attrattivo, che un tempo dava lavoro e oggi fagocita i destini di migliaia di africani e mediorientali, con la falsa prospettiva di un’occupazione e una realtà fatta di sfruttamento, abusi, detenzione, negazione dei diritti e dell’umanità, tratta e commercio di essere umani. Sono storie comuni a moltissimi rifugiati, un passato che i quattro giovani genitori accennano a stento, con gli occhi più che a parole. Sono ferite profonde difficili da mostrare. Meglio sorridere ai bambini che passano di braccia in braccia e appoggiano la testa sulle spalle di questo o quell’operatore, ormai gente di casa. “Cosa vorreste per il futuro?”

“La famiglia.” Mantenere salda la famiglia. Trovare un modo per far crescere i figli, per farli ambientare, per mandarli a scuola quando cresceranno. Rendersi autonomi e integrati. Non c’è prospettiva più ambiziosa di questa nelle loro immaginazioni. Nulla di più che questi due bisogni fondamentali: lavoro e famiglia. Non ci sono sogni speciali, scommesse di carriera, autorealizzazioni, desideri voluttuari… “Solo” la base indispensabile. Ed è questo che ci spaventa. Non esistono due umanità. Sono le stesse irrinunciabili necessità degli italiani e, in un mondo così radicalmente iniquo, dobbiamo accettare la sfida di condividerle e di farlo sul nostro stesso territorio. “Cosa pensate di Genova e dei genovesi?”

“Bella città, gente accogliente, ma non tutti.” Princess racconta che le capita di dover chiedere informazioni e ancora prima di farsi capire c’è chi la allontana. Silva ammette che le occasioni di entrare in contatto reale con la città sono pochissime: la spesa al supermercato, un pomeriggio ai giardinetti con i piccoli. I veri rapporti sono solo quelli con gli operatori e i volontari, il resto è presenza che sfugge ancora di mano. Un mondo a parte in una città riservata di natura, ma di cui si percepisce la buona volontà. E poi c’è la Chiesa. Qualche settimana fa, in un giovedì qualunque, le due famiglie, di fede cattolica, hanno voluto battezzare i tre bambini. Nella chiesa di S. Siro in Centro Storico, il parroco P. Daniele, della Congregazione dell’Oratorio di S. Filippo Neri e P. Alexis, missionario SMA/Società Missioni Africane, che segue da vicino le persone ospiti di Auxilium, hanno accolto queste famiglie e battezzato i loro figli. Serina e Williams si chiamano così in onore della tennista americana. E Francesco? “Non sarà per il papa?”

Princess abbassa gli occhi e sorride.