di Gigi Borgiani
direttore

Aspettiamo il picco del contagio. arriverà il picco.  E allora si tornerà alla normalità. Calma. Il picco non sarà l’inizio della fine ma segnerà l’inizio di una fase di transizione, di rallentamento e  non sarà certo opportuno abbassare la guardia. Su un ring, abbassare la guardia significa prendere colpi da ko. Ritorno alla normalità è quello che tutti ci auguriamo. Ma attenzione: quale normalità? Quella di prima, prima del Coronavirus o quella di oggi, che ci sta insegnando e suggerendo stili di vita più tranquilli, rispettosi degli altri e dell’ambiente, più invitanti allo stare bene insieme?

Non vorrei peccare di pessimismo ma le difficoltà attuali, le restrizioni cui tutti siamo soggetti potrebbero scatenare, finito l’allarme, una euforia – comprensibile – ma pericolosa perché il virus sarà in esilio ma sarà presto affermare che sia sconfitto. Il rischio del “passata la festa, gabbato lo santo” è dietro l’angolo. Guai a fare il gesto dell’ombrello al virus che potrebbe riservare sorprese poco gradite; più mitigate certamente ma non meno dannose.

Quindi occorre prepararsi bene alla festa dei ri-abbracci. Ci siamo accorti che la “normalità di prima” tanto normale non era perché, al di là della imprevedibilità dei fenomeni, ha dimostrato che da un lato viviamo ormai in un mondo interdipendente e interconnesso – a tutti i livelli – e che dall’altro non possiamo permetterci di procedere senza regole. Non ci si può sempre affidare al buon senso e alla buona volontà altrui o allo “speriamo che io me la cavo”. O peggio all’“Io faccio come mi pare perché sono libero e gli altri facciano altrettanto e si arrangino”.  Occorre prepararsi ad una nuova normalità. Ai tempi delle Torri Gemelle la frase “Nulla sarà più come prima” era sulla bocca di tutti, su tutte le pagine. Ma cosa è cambiato in quasi 20 anni? Poco o niente. Anzi. Restano i conflitti, la diseguaglianze, la corruzione, la illegalità, le dipendenze, etc. etc. Il rischio che tutto torni come prima è dietro l’angolo. Certi virus comportamentali, istituzionali, strutturali sono duri a morire.

La voglia di socialità che sembra affiorare anche dalle “balconate” e dalla scritte non nasconde forse quella insofferenza che nella normalità significa insoddisfazione, continua caccia alla libertà, all’individualismo? Non può essere la scaramanzia di scacciare il malanno che ora incombe anche sui tanti che si credevano (ci credevamo) intoccabili, invincibili? Ce la faremo! Ma chi non ce l’ha fatta? Chi non ce la farà? Le famiglie che non riescono neppure a seppellire i morti?

Le angosce che si sommano a quelle di sempre non potranno essere cancellate da un sospiro di sollievo.

Se riprendiamo la nostra indipendenza, il nostro voler essere liberi di fare senza mettersi in ascolto di altro e degli altri, sarà tutto come prima, forse più insoddisfatti e incattiviti di prima, ognuno alla ricerca del proprio interesse. Salvata la pelle il vicino ora associato alla resistenza tornerà ad essere il condomino con il quale litigare? L’anziano sarà ancora da solo a tirare a campare? La persona fragile, diversa – magari per il color della pelle – sarà nuovamente isolata e scartata? Torneremo a prendercela con il governo – qualunque esso sia – che oggi si adopera per proteggerci e domani sarà oggetto di attacchi, critiche da chi avrebbe fatto meglio e da noi che non riusciamo a partecipare, ad esser cittadini consapevoli?

Liberi dalla malattia, liberi di star bene ma per favore senza essere disturbati! Ma quale libertà? Liberi per chi e per che cosa?

Il virus biologico deve attivare meccanismi di reazione positiva. L’isolamento forzato deve essere tempo di riflessione. Tempo di domande, di coscienza per raggiungere a marce forzate – perché è urgente – quella coesione sociale che davvero può unire in un futuro sereno per tutti.

Si vedono le immagini dei canali di Venezia con acque limpide! Cala l’inquinamento, una concausa da non sottovalutare. E allora perché con i mezzi digitali che abbiamo e che oggi garantiscono un minimo di relazioni non ci scambiamo idee sul futuro, sul domani, su come possiamo accettare la lezione della virologia e trasformarla in una grande aula di pensiero e di rigenerazione per tutti?

E non dimentichiamoci che, volenti o no, credenti o meno, siamo figli di un Padre che ci ha messo a disposizione una casa che dobbiamo curare e che la trascuratezza continua a danneggiare. La preghiera, le invocazioni non sono atti superstiziosi o devozioni d’altri tempi. Sono la ricetta per riprendere un po’ di senso, per orientare i nostri giorni per qualcosa, per qualcuno, per “essere” e non lasciarci in balia di un avere che si consuma.

Foto: Adi Goldstein – Unsplash

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