di Luigi Borgiani, direttore

Purtroppo quello delle stragi sta diventando un fatto quotidiano da prima pagina. Colpisce ed impaurisce perché sono fatti che avvengono in casa nostra (se consideriamo l’Europa casa nostra!) e nascondono le stragi che con meno clamore sono perpetrate in ogni parte del pianeta. Un mondo di pace sembra lontano, molto lontano, poco desiderato, poco conveniente. Globalizzazione, mercati, progresso non hanno favorito una strada di pace, di giustizia, di umanità. Anzi! Gli idoli e i miti del nostro tempo stanno rivelandosi come l’ampia strada per l’indifferenza, per l’interesse, per le chiusure e gli egoismi del falso quieto vivere costantemente alimentati da paura, insicurezza e sfiducia.

Ma non dobbiamo rassegnarci. È ancora possibile vincere il male con il bene. Certo le stragi fanno notizia, sconcertano, emozionano; ma bisognerebbe che accanto ai fatti negativi emergessero con più evidenza quelli positivi che, nel silenzio, fanno strada ad una convivenza più umana. È noto l’aforisma: “Fa più rumore un albero che cade che un’intera foresta che cresce”! In un’epoca di desertificazione naturale e morale dobbiamo perseverare e far crescere alberi. O forse siamo noi quegli alberi che devono crescere in umanità e responsabilità.

Non possiamo aspettarci nulla da una politica (nazionale ed internazionale)  inconcludente e inadeguata ove mancano una autorità e una autorevolezza capace, ma soprattutto desiderosa e disposta a promuovere strategie e a prendere decisioni per contrastare i problemi più gravi che riguardano tutti e danneggiano inevitabilmente i più deboli a vantaggio degli interessi di pochi. A partire dai piccoli gesti di ognuno dobbiamo imparare ad impegnarci, a costruire un orizzonte integrato, capace di sguardo sulla complessità dei fenomeni che invece di fare strada fanno stragi. Ovvero: non possiamo accontentarci di essere un albero buono: occorre essere foresta! E allora, se da un lato sono importanti ed insostituibili le nostre generosità (di tempo e di denaro), dobbiamo imparare ad integrarci per strategie più incisive.

Non basta dare pane e tetto, lo abbiamo ripetuto più volte. Occorre dare voce e gambe a forme di contrasto alla povertà. È questo l’esempio quotidiano delle nostre attuali accoglienze. Ma ci sono tante povertà, tante fragilità che possono essere risolte solo con grandi cambiamenti di mentalità, di opinione e con assunzione di responsabilità. Senza lasciarci indebolire da chi terrorizza, da chi frammenta, da chi continua a presentare idoli invece che idee, da chi illude, da chi vende diritti e promesse precarie che gratificano pochi e non costruiscono coesione sociale e soprattutto non risolvono il vivere sociale globale.

Le nostre strutture sono sempre più assediate da persone che chiedono aiuto. Con l’aiuto di molti riusciamo a fare molto, ma queste strutture non possono continuare ad essere luoghi di accoglienza, di aiuto: devono divenire strutture capaci di pensiero e di forme di compagnia attiva tali da far aumentare gli alberi della foresta del bene, tali da dare fiducia e speranza contrastando le strategie del male.

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