di Gigi Borgiani.
Incontro con i responsabili del Centro di Solidarietà Genova, 16 marzo 2021

Briganti, feriti, indifferenti o samaritani ! Con chi ti identifichi? Così titola Caritas Notizie uscito da poco con chiaro riferimento ad un passaggio dell’enciclica Fratelli Tutti in cui Papa Francesco offrendo spunti sulla parabola del buon samaritano pone la domanda: “Con chi ti identifichi? Questa domanda è dura, diretta e decisiva. A quale di loro assomigli?” (FT 64).

Penso che, con buona onestà e umiltà, chi opera nel nostro mondo, nelle nostre strutture possa dire di identificarsi con il samaritano della nota parabola evangelica. Forse però non è tanto da quale parte stiamo quanto come viviamo lo stare dalla parte che riteniamo giustaMa attenzione ponendoci in questo modo di fronte alle persone che riteniamo di servire rischiamo anche noi di fare delle categorie, di classificare continuando ad aumentare la separazione tra  “noi” e “loro”.

Pensiamo di essere Noi coloro che aiutano, che individuano i bisogni e loro sono i feriti, i fragili, i minori, i senza dimora, i dipendenti, le famiglie in difficoltà; loro sono anche gli indifferenti individualisti e ossessionati dall’io o i briganti che pensano al profitto, che creano i conflitti e inequità.

Sì, siamo decisamente a servizio della persona ma come? Ci poniamo come professionisti, come coloro che aiutano, che offrono le loro competenze per risolvere o come coloro che stanno accanto Dobbiamo evitare di trovarci in un mondo di categorie, di barriere, in una realtà frammentata, dispersa, molteplice, intrecciata ma non integrata. 

Questo da un lato ci dice che dobbiamo uscire dal noi, dal nostro servizio, aprire le porte a quella amicizia sociale, quella fraternità universale di cui scrive Papa Francesco nella Fratelli Tutti; dall’altro, che non possiamo avere visioni parziali e che non possiamo agire da soli, che la goccia che ognuno può portare deve necessariamente confluire in un mare di bene per non vanificare l’impegno e ritrovarci a naufragare nel mare della disuguaglianza, dei bisogni e del non umano.

Uscire, incontrare per riconoscere che abbiamo bisogno gli uni degli altri – come ripetutamente Francesco sottolinea nella Laudato si’ (§ 42, 229). Condividere tra noi e con chi è meno fortunato di noi ci aiuta non solo nel piccolo cerchio del nostro lavoro, della nostra associazione ma in quel prendersi cura che idealmente abbraccia tutto il mondo, che ha a cuore il cammino comunitario dell’umanità.

Amicizia sociale”: è molto bella questa espressione che contraddistingue la Fratelli Tutti perché supera di molto la definizione di “servizi sociali” che sa molto di assistenza e di elemosina. Amicizia sociale è prima di tutto farsi prossimo, avere la consapevolezza di essere prossimo, ascoltare, riconoscere. Il riconoscimento non è una semplice identificazione di realtà e persone, non è un semplice prendere atto e cercare rimedi.

Ce lo siamo ripetuti tante volte. Si tratta di riconoscere i volti che incontriamo così come noi desideriamo essere riconosciuti dagli altri per quello che siamo e non per quello che abbiamo o perché abbiamo un diritto di cittadinanza. Si tratta di dare vita a relazioni non a senso unico (ad es: operatore/persona accolta) ma di generare atteggiamenti di reciprocità, da persona a persona. Per questo il primo riconoscimento è quello di noi stessi. Guardarsi dentro,  considerare il “Sé come altro” (P. Ricoeur).

Questo tempo di grande fragilità è anche il tempo di riconoscere la nostra fragilità prima di affacciarsi a quella degli altri; tempo di riconoscere i propri limiti per amplificare gli orizzonti di un cammino insieme.

Poveri con i poveri? Con le debite considerazioni direi di sì. Parliamo di quella povertà di spirito che è beatitudine evangelica ma che per tutti può essere stile di vita che significa umiltà, gratuità, essenzialitàIl samaritano di oggi ha compassione, si prende cura, non abbandona, accoglie e include, cammina per andare oltre ad una normalità che ha mostrato tutta una serie di falle, di debolezze e che non solo non potrà, non dovrà essere recuperata ma che deve essere ripensata.

A partire dalla fragilità che poco o tanto tutti abbiamo sperimentato, dobbiamo sfruttare questo tempo per una revisione, per una messa a punto di un motore che deve rilanciare a partire da una nuova consapevolezza di sé, delle proprie capacità e di quei valori che ci spingono verso quei percorsi di incontro di cui parla Francesco nella Fratelli Tutti e che vanno ben al di là di quel che possiamo fare come “servizio sociale”.  

Incontri che non ci pongono di fronte all’altro ma che ci pongono accanto perché anche l’altro ci possa riconoscere e ci possa aiutare a farci sentire persona. Una amicizia sociale fondata sul verbo dialogare che passa attraverso ascolto. Sguardo, comprensione, punti di contatto, di condivisione, di dono.

Il riconoscimento diventa anche riconoscenza, diventa un gioco di scambio che è alla base del legame sociale. Il dono è sempre promotore di relazione e diventa anche costruzione di società, diventa un percorso in cui anche l’altro, ogni altro, anche il più fragile, può essere protagonista.  L’altro mi spinge a ripensarmi, a riscoprire il senso del mio essere e delle mia scelte; mi fa sentire dono per l’altro che apparentemente non mi dà nulla, chiede solo e si aspetta qualcosa ma che in realtà mi mette nelle condizioni di assumere le sfide del tempo. Riconoscere se stessi è riscoprire l’interezza dell’essere uomo/persona che è materia, corpo ma anche anima; è anche città, mondo. Mettendomi accanto ad una persona (qualunque essa sia) nella mia quotidianità mi metto accanto alla città, al mondo. Direi h 24, tutto incluso.

Riconoscersi è quindi un atteggiamento che aiuta a riscoprire la nostra completezza e a viverla con i nostri comportamenti e scelte, che aiuta a rispondere alla domanda chi sono, dove vado ma anche per chi sono, con chi sono. Sono un essere tutto in relazione con me stesso e in relazione con tutti e tutto, in relazione ad un mondo che vorremmo uscisse dalle ombre e si aprisse ad una vera fraternità.

Ecco questo è il tempo del riconoscimento, del nuovo che si muove tra le difficoltà, tra i problemi, nel desiderio di essere sé stessi ma non da soli. È il tempo di stare con. Non faccio un servizio ma condivido un cammino, faccio un pezzo di strada, mettendo a disposizione i miei doni, tutto il mio tempo e tutta la mia vita perché non posso separare il servizio che faccio dal resto della mia vita. 

Possiamo parlare di una nuova spiritualità o meglio una interiorità che mi da pace e forza che non è il momento della pausa, del distacco dalla materialità dei miei impegni, non è il rifugio per le mie stanchezze e delusioni ma è un modo completo di trovare equilibrio; poter dire di voler star bene con se stessi e con gli altri che non è una qualche forma di tranquillità, o di egoismo, un modo di dire ma è il riconoscere che devo mettere in gioco tutto me stesso e che si ha bisogno gli uni degli altri. 

La necessità di rifare una società su basi nuove crea spesso un’ansia da prestazione (spesso purtroppo anche da competizione) e spinge ad attività sociali d’immediato rendimento basate sullo sforzo di una carità efficiente. Si ha la tendenza a giudicare il valore spirituale di un atto dal rendimento di attività sociale e di servizio del prossimo. 

L’interiorità ha il compito di non abbandonarci a risultati esteriori, agli entusiasmi passeggeri, alla liquidità, alla ricerca di ciò che non soddisfa, di ciò che consuma e sfugge sempre. Una interiorità incarnata, realista aiuta a superare e a vivere quello che ogni lingua, ogni religioso chiama “fede”. Una interiorità che non separa la vita dalla fede, dallo spirito che a qualsiasi titolo motiva l’impegno di ciascuno.

Chiudo con una frase di F.Carlo Carretto:

Considera la realtà in cui vivi, l’impegno, il lavoro, le relazioni, le adunanze, le camminate, le spese da fare, il giornale da leggere, i figli da ascoltare, come un tutt’uno da cui non puoi staccarti, a cui devi pensare. Dirò di più un tutt’uno attraverso il quale Dio ti parla e ti conduce. È cambiando il tuo cuore che tu vedrai le cose diversamente. Vedere le cose con occhio nuovo, toccarle con spirito nuovo, amarle con cuore nuovo.