di Gigi Borgiani
direttore

Alcune considerazioni a seguito della pubblicazione della Enciclica Fratelli tutti sulla fraternità e amicizia sociale.

Non ci sono novità! Papa Francesco prosegue nella sua “catechesi” ordinaria che rivolge a tutti gli uomini e le donne di buona volontà per la cura della casa comune. Come scrive il Papa stesso nei primi paragrafi, il testo può essere considerato una raccolta di elementi, esortazioni, spunti abbondantemente suggeriti in questi anni e fa riferimento a quanto già espresso nella Laudato si’, citando il Patriarca Bartolomeo che ci ha proposito “di passare dal consumo al sacrificio, dall’avidità alla generosità, dallo spreco alla capacità di condividere, in un’ascesi che «significa imparare a dare e non semplicemente a rinunciare. È un modo di amare, di passare gradualmente da ciò che io voglio a ciò di cui ha bisogno il mondo di Dio. È liberazione dalla paura, dall’avidità e dalla dipendenza». Noi cristiani, inoltre, siamo chiamati ad «accettare il mondo come sacramento di comunione, come modo di condividere con Dio e con il prossimo in una scala globale. È nostra umile convinzione che il divino e l’umano si incontrino nel più piccolo dettaglio della veste senza cuciture della creazione di Dio, persino nell’ultimo granello di polvere del nostro pianeta”(LS 11). Numerosi poi i richiami al documento firmato con il Grande Imam Ahmad Al-Tayyeb che, se vogliamo, costituisce il punto di partenza e di ispirazione della enciclica.

Non deve sorprendere se, nella semplicità e nell’articolazione del testo, non troviamo elementi “nuovi”, se vengono ulteriormente approfonditi aspetti già espressi. La novità che dobbiamo derivare è in noi stessi, come quando ci confrontiamo con la Parola e ci rendiamo conto che lettura e rilettura, riflessioni e meditazioni possono condurre al “nuovo” solo se ciascuno di noi si rinnova, si lascia rinnovare dalla Parola stessa.

Come già nella Laudato si’, l’enciclica muove da un volo se vogliamo rapido ma chiaro sulle ombre che si addensano oggi sulla casa comune. Ombre che pongono domande che non possiamo rovesciare con rammarico sulla responsabilità di altri, allargando le braccia. Non possiamo non guardare, voltarci dall’altra parte (cfr. Cap. II) o ribaltare su chi ha in mano il pallino, sulla politica locale e globale, soprattutto alla luce di una politica di corto respiro, senza proposte condivise, senza orizzonti, ripiegata sull’immediato e sul consenso e poco attenta a servire l’uomo, senza un approccio integrale che includa in un dialogo interdisciplinare i diversi aspetti della crisi (§ 177). Il Papa riprende il vecchio concetto di “carità politica”capace di superare l’individualismo e l’interesse e riconoscere ogni persona, la sua dignità, le necessità, i diritti e i doveri (§ 180).

Come rispondere alle ombre, alle scarse reazioni a tutti i livelli, all’annichilimento che avvolge le coscienze, anche le nostre? Come sempre il Papa offre vie di risposta. Se la via è quella della fraternità e dell’amicizia sociale occorre promuove la “cultura dell’incontro e percorsi di incontri e qui la palla passa a noi, ai credenti, a coloro che si sentono chiamati a responsabilità.

Leggiamo un invito chiaro: “Desidero tanto che, in questo tempo che ci è dato di vivere, riconoscendo la dignità di ogni persona umana, possiamo far rinascere tra tutti un’aspirazione mondiale alla fraternità. Tra tutti: «Ecco un bellissimo segreto per sognare e rendere la nostra vita una bella avventura. Nessuno può affrontare la vita in modo isolato […]. C’è bisogno di una comunità che ci sostenga, che ci aiuti e nella quale ci aiutiamo a vicenda a guardare avanti. Com’è importante sognare insieme! […] Da soli si rischia di avere dei miraggi, per cui vedi quello che non c’è; i sogni si costruiscono insieme». Sogniamo come un’unica umanità, come viandanti fatti della stessa carne umana, come figli di questa stessa terra che ospita tutti noi, ciascuno con la ricchezza della sua fede o delle sue convinzioni, ciascuno con la propria voce, tutti fratelli!” (§ 8).

In una chiesa che non può restare ai margini è urgente la presenza di comunità che esprimano un “amore sociale” che non è solidarietà, filantropia, buone azioni né tantomeno assistenza o elemosina. È via di evangelizzazione, via di sviluppo autentico perché esercizio di carità. Esercizio che si impara in comunità perché la comunità, come si legge nella Laudato si’, è il luogo dove si apprende la relazione con Dio, con il prossimo e con la terra (§ 60). Terra che ci è stata affidata per essere coltivata e custodita e non consumata, luogo dove ogni uomo può avere spalancate le porte di Dio.

Amore sociale non è neppure riducibile a scelte parziali, ad interventi straordinari, a servizi, a buone azioni, a programmi, a occuparsi di questo o quello, anche perché, per quanto si faccia, possiamo sempre essere accusati di non fare abbastanza o addirittura di ipocrisia. L’aspetto che dobbiamo curare di più è dare vita a comunità credibili che “non fanno cose” ma vivono principi e scelte condivise e orientate al bene comune. Per questo la “lettura insieme” dell’enciclica deve diventare occasione di “laboratorio permanente” in cui sperimentare ascolto, discernimento, scelte di vita condivise, superando strutture per trasformarsi in vita contagiosa che vanifica le tante maschere di comodo, di sfiducia, di isolamento del nostro vivere.