di Massimiliano Guidotti, Operarore Il Melograno

Questo articolo racconta una storia senza confini, che parte dal nord Italia e arriva a Lampedusa, ma non si ferma lì. Una delegazione, composta dai direttori di Caritas e Migrantes di Piemonte e Valle d’Aosta, è stata per circa una settimana a Lampedusa, lo scorso agosto, con la volontà di conoscere la realtà dell’isola, ascoltare testimonianze dirette e dare un segnale di vicinanza, in particolare alla comunità cristiana e alla parrocchia, compresi quei migranti cristiani che desiderano trovare un conforto nella fede. Ne parliamo perché della delegazione ha fatto parte anche Andrea Gatto, attuale direttore di Caritas Aosta, già nostro collega in Auxilium, presso cui è stato anche responsabile dell’Area Persone senza dimora della Fondazione.

I delegati hanno voluto ascoltare non solo la comunità cristiana ma anche altre voci, per esempio i ragazzi di un centro sociale locale e i cittadini al di fuori di qualunque appartenenza. Avrebbero voluto visitare anche l’Hotspot, il centro di accoglienza dove le persone vengono accolte subito dopo lo sbarco e dove solitamente attendono circa 48 ore prima di essere smistate nei centri di tutta Italia: non è stato possibile perché, a norma di legge, l’Hotspot non è visitabile, da nessuno. I migranti, però, talvolta escono dalla struttura e si vedono in paese, dove cercano relazione, contatti, a volte indumenti, benché dovrebbero esserne forniti dal centro di accoglienza, o semplicemente una rete wi-fi per poter comunicare con la famiglia. La comunità lampedusana è apparsa molto accogliente, anche se non manca una certa criticità nei confronti delle istituzioni e del modo di affrontare la questione. La gente di Lampedusa è gente di mare e, come tale, considera un preciso dovere morale aiutare chiunque si trovi in difficoltà tra le onde. È ancora molto vivo il ricordo della tragedia avvenuta il 3 ottobre 2013, quando più di 300 persone morirono a poche centinaia di metri dalla riva: molti pescatori o semplici cittadini lampedusani prestarono soccorso, raccolsero cadaveri, videro gente annegare. Non sarebbe facile per nessuno dimenticare cose del genere, ancor meno per gli abitanti dell’isola per i quali chi è in mare ed è in pericolo deve essere aiutato, sia questi europeo o africano. Inoltre, fino a che non è cambiata l’organizzazione dei soccorsi in mare, con l’intervento delle marine militari e delle ONG internazionali che si occupano di trarre in salvo le persone, spesso erano i pescherecci degli stessi lampedusani a trarre in salvo i naufraghi, con un evidente e profondo coinvolgimento dei cittadini comuni nelle vicende dei rifugiati. La Porta d’Europa (nella foto) che si apre sul mare dal litorale di Lampedusa, ben rappresenta questo impegno all’accoglienza degli abitanti e questa “storia senza confini” che quest’isola consegna a tutta l’Europa.