di Gigi Borgiani
direttore
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A 25 anni dal documento “Ero forestiero e mi avete ospitato” (1993-2018), la Commissione Ecclesiale per le Migrazioni della CEI – Conferenza Episcopale Italiana ha reso nota una lettera indirizzata alle comunità cristiane dal titolo “Comunità accoglienti. Uscire dalla paura”. Una riflessione sul tema dell’immigrazione. La lettera offre in apertura una serie di dati che aiutano la comprensione di un fenomeno decisamente cambiato rispetto al passato e oggi molto più coinvolgente. Tanto che, scrivono i vescovi “siamo consapevoli che nemmeno noi cristiani, di fronte al fenomeno globale delle migrazioni, con le sue opportunità e i suoi problemi, possiamo limitarci a risposte prefabbricate, ma dobbiamo affrontarlo con realismo e intelligenza (…) al di là dei limiti dettati dall’egoismo, dall’individualismo di chi si rinchiude nel proprio benessere, da una economia e da una politica che non riconosce la persona nella sua integralità.

Emergenza, paure, individualismo, educazione sono termini che ricorrono nella lettera e che costituiscono gli elementi per una riflessione comunitaria. Perché la lettera o la si legge insieme o resta ancora una volta un esercizio di lettura chiuso e limitato, che non ci aiuta a “leggere” i segni dei tempi (in questo caso quello delle migrazioni) e a smettere di delegare ad altri il compito di fare qualcosa. Verrebbe da dire che la lettera non contiene elementi di novità, se non riassumere concetti già espressi e sollecitare attenzione e impegno evangelico che non “esce” se non ha radice comunitaria. La novità dovrebbe nascere non dal parlare della questione ma dalla decisione di affrontarla come comunità.

Già nella Laudato si’ Papa Francesco scriveva che “le questioni sociali si risolvono con reti comunitarie”, ma pare che si continui da una parte a scrivere e dall’altra a leggere (e sarebbe già qualcosa!) senza fare un passo di reazione per dire qualcosa di umano e di cristiano come espressone del popolo cui diciamo di appartenere. Lasciamo che sia la Chiesa a parlare e a scrivere senza la consapevolezza che siamo “tutti noi Chiesa”, quella Chiesa che, partendo dalle indicazioni dei Pastori, deve realizzare quanto ci viene chiesto dal Vangelo: essere testimoni e prenderci cura di quanto avviene nella casa comune.

Lo spunto della lettera offre ancora una volta l’opportunità di una verifica del nostro essere comunità, del nostro progredire insieme tra noi ma con gli altri, senza limitarci alla prassi pastorale di base ma aprendoci alle realtà e alle domande che vengono da una società sempre meno “umana”, sempre più soffocata dall’informazione che detta pensieri e comportamenti e invece sempre più bisognosa di una vera comunicazione che generi relazioni costruttive.

Insomma: è una lettera che dovrebbe essere letta insieme, condivisa, magari durante la messa domenicale a corollario della Parola ascoltata. La prossima Domenica è Domenica di Pentecoste: quale migliore occasione per chiedere lo Spirito, perché aiuti e illumini le nostre comunità a proclamare parole e gesti di fraternità, rispetto, accoglienza e inclusione. Parole e gesti di una solidarietà che non abbia il gusto dell’aiuto ma del camminare insieme.