di Gigi Borgiani
direttore
Dallo scorso fine settimana (7/9 Febbraio) Padova è Capitale Europea del Volontariato 2020. Un evento da non trascurare che sollecita una maggiore attenzione, da un lato, verso un mondo sempre più attivo – anche se molto spesso sotto traccia – e, dall’altro, verso le diverse realtà che interpellano il volontariato. Un evento che durerà tutto l’anno e che quindi può essere occasione per creare, non solo a Padova, un laboratorio di valenza nazionale ed europea. Si tratta ancora una volta di alzare lo sguardo e dare vita ad un movimento di idee, di progetti, di fatti ma soprattutto di persone, che responsabilmente assumono l’impegno per costruire la famiglia umana, per prendersi cura in modo sempre più coerente della casa comune.
Si tratta di mettere “il noi al posto dell’io”, come ha detto il Sindaco di Padova Sergio Giordani all’inaugurazione dell’evento, e di consolidare un indirizzo ben chiarito, sempre in quella sede, dal Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella nel suo intervento (che consiglio di leggere): “Il volontariato è tutt’altro che un modo per impiegare il tempo libero. Al contrario, si tratta di un pilastro della vita delle nostre comunità, riconosciuto e tutelato dalla nostra Costituzione. Non è – e non deve essere – una forma di supplenza a inefficienze e a ritardi delle pubbliche istituzioni, ma un motore autonomo, dotato di proprie caratteristiche e specificità, ideali e organizzative”.
Mi pare che su questo ci sentiamo in piena sintonia. È bene allora che ci si fermi un istante per riflettere anche sul “nostro” volontariato. Innanzitutto condividiamo che i mille volti del volontariato sono diffusi e rappresentati in tutti gli ambiti della società: sportivo, culturale, di vicinanza alla persona – dalle pubbliche assistenze fino ad arrivare a quei “servizi sociali” che ben conosciamo e che per noi eccedono la semplice (per modo di dire) valenza umanitaria, di fratellanza. Il “nostro” è un volontariato targato Vangelo. Il nostro stare con le persone (ripeto, in uno qualsiasi dei campi in cui ciascuno di noi può dedicare tempo e cuore) alla luce del Vangelo assume i connotati della missione, della via per annunciare, attraverso gesti e presenza, che esiste un qualcosa che dà senso, che supera l’umano, che unisce al di là delle cose e che spinge l’uomo ai traguardi di quella alleanza che dà vera Vita. Come dice il Presidente Mattarella e come più spesso ripete Papa Francesco, non si tratta di qualche ora, di qualche gesto. Per noi si tratta di considerare il volontariato come discepolato missionario. Si tratta di interiorizzare il nostro essere, la nostra fede e di portarla a contagiare il mondo, la realtà in cui viviamo. Noi diamo pane, tetto, letto ma con lo stile di quello che ci viene trasmesso dall’apostolo Pietro: “Non possiedo né argento né oro, ma quello che ho te lo do: nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, àlzati e cammina!” ( At 1, 3-8). Il gesto diventa un passaggio, una trasmissione di fede. Come scrive Francesco nella Evangelii Gaudium: “Ogni cristiano è missionario nella misura in cui si è incontrato con l’amore di Dio in Cristo Gesù; non diciamo più che siamo ‘discepoli’ e ‘missionari’, ma che siamo sempre ‘discepoli-missionari’. Se non siamo convinti, guardiamo ai primi discepoli, che immediatamente dopo aver conosciuto lo sguardo di Gesù, andavano a proclamarlo pieni di gioia: «Abbiamo incontrato il Messia» (Gv 1,41)” (EG 120). E ancora: “La missione non è una parte della mia vita, o un ornamento che mi posso togliere, non è un’appendice, o un momento tra i tanti dell’esistenza. È qualcosa che non posso sradicare dal mio essere se non voglio distruggermi. Io sono una missione su questa terra, e per questo mi trovo in questo mondo. Bisogna riconoscere sé stessi come marcati a fuoco da tale missione di illuminare, benedire, vivificare, sollevare, guarire, liberare” (EG 273).
Come discepolo non dovrei avere dubbi se dedicare un po’ di tempo, attenzione agli altri. In quanto battezzato e inserito, con consapevolezza, in un contesto di fede e di annuncio, dovrei considerarmi un “volontario naturale”. Vivere con la consapevolezza di essere discepolo e quindi orientato per fede e per scelta ad essere “presente” con la forza e la gioia del vangelo sempre e ovunque. Vivere la carità con lo stile del sale della terra e la luce che illumina il mondo (Mt 5,13-16). Per il credente si tratta di dire non “Faccio un po’ di volontariato” ma “Vivo come discepolo” mettendo in pratica quel “Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date” (Mt 10,8) che sarà il tema della Prossima Giornata diocesana della Solidarietà (29 Marzo 2020).
Scusate se spesso ho scritto “si tratta” e nel titolo ho messo “TRATTA” maiuscolo. La ragione è che nei giorni dell’inaugurazione dell’evento padovano-europeo, si è celebrata anche a Genova la “Giornata mondiale di preghiera e riflessione contro la tratta”. La tratta è un fenomeno triste e umiliante per una società che si definisce civile. Una vergogna alla quale siamo indifferenti e abituati e che collochiamo troppo spesso nella categoria del “Non mi/ci riguarda”. Invece si tratta di un fenomeno in mezzo a noi, sempre più diffuso e angosciante specie se coinvolge persone “trafficate”. Nel bel convegno svoltosi al Quadrivium qualche giorno fa, frutto di una stretta collaborazione tra diverse realtà che si occupano della “Tratta” (Fondazione Auxilium, Comunità Giovanni XXIII, Suore di Nostra Signora degli Apostoli, Missionari della SMA, Cif e Centro per non subire violenza – ex UDI) abbiamo toccato con mano una realtà cittadina pesante al riguardo. Quello della tratta è uno dei campi in cui il credente può esercitare il proprio discepolato. Si tratta di dare disponibilità alle unità di strada o all’accoglienza per le ragazze che scelgono di uscire dalla “forma di vita” in cui sono costrette ma anche di adoperarsi per quelle sfide educative urgenti in grado di contrastare una mentalità sempre più materializzata e cosificata, anche per quanto riguarda la corporeità e il rispetto degli altri, sempre e comunque. Come Auxilium, siamo capofila del progetto HTH – Hope This Helps – contro la tratta e lo sfruttamento minorile – che ci impegna a guardare il fenomeno come parte di quel “tutto in relazione” che riguarda la città.
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