P. Mauro non è persona che accomodi la verità. Da missionario, ha negli occhi il destino spezzato di migliaia, milioni di africani. Guarda il mondo dal punto di osservazione di chi ne è escluso e lo descrive senza sconti: con una metafora biblica, lo apostrofa come “l’Impero del Faraone”, che ieri come oggi vive di mercanzie, schiavi, dominazioni, guerre, muri. Sono accorsi in tanti Mercoledì 21 Settembre scorso, a Casa della Giovane, per confrontarsi con P. Mauro Armanino, missionario SMA – Società Missioni Africane, e con una domanda che, sotto sotto o dichiaratamente, pongono in molti: ma perché i migranti non se ne stanno a casa loro invece di sbarcare sulle nostre coste dove non avranno altro futuro che riempire le strutture di accoglienza? La risposta di P. Mauro è senza esitazioni: “Abbiamo smantellato tutto lo smantellabile, depredato tutto il depredabile. E ora ci stupiamo che alcune migliaia di persone cerchino da noi la salvezza?”
P. Mauro abita e opera a Niamey, in Niger, dove promuove interventi a favore dei “migranti di ritorno”, quelli che falliscono persino nella illusione, che non riescono a raggiungere un altrove e tornano indietro. La Campagna “Tra diritto di rimanere nella propria terra e dovere di accoglienza”, sostenuta anche dal Tavolo Giustizia e Solidarietà di Genova e dal Vis – Volontariato Internazionale per lo Sviluppo, ha attivato da qualche mese una microrealizzazione a favore di questo suo impegno. L’emigrazione forzata per P. Mauro significa nomi, corpi, ferite, rinunce, miseria, dignità. “È la storia di tantissimi uomini e donne che non hanno alcun diritto. Uno di loro si chiama Précieux, ‘Prezioso’ in italiano. Mi piace ricordarlo perché il suo nome dice tutto. E’ prezioso perché è un uomo, come voi, ma non è come voi, non ha alcuna possibilità di futuro.”
Nella geografia di P. Mauro ci sono due narrazioni, una a nord e l’altra a sud di Lampedusa. La narrazione “dominante”, a nord dell’isola, è quella dell’Impero del Faraone, e racconta che nel mondo c’è scarsità di risorse e per sopravvivere, per mantenere il livello di benessere, bisogna accaparrarsele, accumularle, selezionare i beneficiari perché non ce n’è per tutti, escludere chi non abita nella parte giusta. “L’impero costruisce i suoi depositi, come l’Egitto biblico – precisa P. Mauro – e le sue barriere. Qualche giorno fa leggevo di una fabbrica spagnola che produce 10 chilometri di filo spinato al giorno. Una produzione che avrà sicuramente mercato. L’impero commercia in qualsiasi cosa, persino in uomini. Controlla flussi di mercanzie e schiavi. E, siccome, nella sua percezione le risorse sono scarse, usa armi e guerre per averne sempre di più.”
Poi c’è un’altra narrazione, a sud di Lampedusa, che è una narrazione “popolare”: appartiene a coloro che credono che il mondo non poggia sulla scarsità ma sulla gratuità. “È la narrazione dei popoli poveri. Nella povertà, nella sobrietà, se si condivide, ce n’è per tutti. Ivan Illich la chiama la povertà conviviale. Dalle mie parti, in Niger, si dice che anche le gambe di un grillo sfamano chi si vuol bene ma per chi è egoista non basta un elefante”.
Oltre alla antinomia scarsità/gratuità, P. Mauro cristallizza altre scenari a nord e sud di Lampedusa. “A nord di Lampedusa viviamo un’amnesia, quella della nostra migrazione: 28 milioni di italiani e 70 milioni di europei. Come è possibile averlo dimenticato? Forse perché ci ricorda le nostre ferite. Non a caso il Deuteronomio ci chiede di ricordarci che siamo stati schiavi in Egitto, schiavi e stranieri. A nord di Lampedusa esiste una società smarrita. Chi di noi saprebbe dire dove stiamo andando? Forse l’unica direzione certa è la totale mercificazione. Per il resto viviamo uno smarrimento interiore, valoriale. A nord di Lampedusa abbiamo un problema di circolazione: nessuno vuole accogliere l’uomo. Fosse un cane, un gatto, allora… Ma l’umano, libero e dignitoso, spaventa. Le sue parole spaventano. Le tratteniamo, le confiniamo, le omologhiamo. Facciamo di tutto per accogliere i turisti ma solo per i loro soldi. Ognuno poi rimane come è. Dai poveri, invece, non possiamo cavarne niente.”
A sud di Lampedusa, continua P. Mauro, lungo il Sahara e il Sahel si muovono flussi di mercanzie e schiavi verso l’Atlantico e il Mediterraneo. A sud di Lampedusa abita una popolazione giovane, milioni di giovani, colonizzati, sfruttati, derubati di futuro. “Continuiamo a colonizzarli con straordinaria violenza e le conseguenze sono inenarrabili. Come possiamo ignorare le milioni di vittime dovute allo sfruttamento petrolifero? O l’accaparramento delle terre ad opera della Cina? L’Africa è ricca di risorse che tuttavia non sono a disposizione degli africani ma dell’impero. Le ricchezze del Niger sono state saccheggiate dalla Francia: e ora i francesi accendono la luce mentre i nigerini devono accontentarsi delle candele. Di fronte a tutto questo come possiamo stupirci se alcune migliaia di giovani cercano di venire da noi, quando da secoli noi andiamo a rubare da loro? Facciamo di tutto perché partano.” Ma una volta partiti facciamo di tutto perché non arrivino. “Complichiamo la migrazione, ci accordiamo con i paesi di origine perché li fermino, rendiamo inaccessibili i nostri paesi, calpestiamo e annulliamo tutti i diritti umani. Ci chiudiamo nei nostri bozzoli di paura ma la nostra paura ci distruggerà. Perché noi dovremmo realizzare i nostri sogni e loro no? Siamo tutti uomini. Ogni uomo è prezioso, précieux, ogni sofferenza e ogni speranza lo rende tale. Ha ragione papa Francesco, che viene dalla parte giusta del mondo, a dire che i migranti non sono il pericolo ma sono in pericolo.”
Non sembra esserci spazio per alcuna morale consolatoria. C’è un però, forse banale, ammette P. Mauro, ma determinante. “La conclusione è aperta a tutti noi – dice -. Qui non abbiamo poteri decisionali ma abbiamo il potere di cambiare gli sguardi, passare dalla narrazione imperiale della scarsità a quella popolare della gratuità, della convivialità. Per compiere questo passaggio dobbiamo avere il coraggio di incontrare le persone e i volti. Dobbiamo riumanizzare e riumanizzarci. È la sola strada per abbattere i fili spinati esterni ed interiori. Dobbiamo poi sapere leggere la storia, la realtà, le fonti di informazione spesso interessate a raccontarci un mondo falsato. Dobbiamo mettere mano a politiche giuste, a forme di resistenza civica. Chi, come un missionario, ritorna qui ogni due o tre anni nota una rassegnazione che ci intristisce. Reagiamo, risvegliamoci, alziamoci dal divano, mettiamoci le scarpe e usciamo. Non ci sono soluzioni magiche ma c’è tanto da condividere.”
(versione PDF)
> Per chi volesse approfondire il pensiero di P. Mauro Armanino: Avvenire – Rubrica “Diario irregolare”