di Luigi Borgiani, direttore

È primavera e come ogni anno celebriamo la Pasqua. È il momento che ci identifica come cristiani. Senza la Pasqua non avremmo cristianesimo e in questi giorni abbiamo l’occasione per ripensare, per rivedere la nostra fede e, di conseguenza, la fedeltà allo stile di vita, alle scelte che la fede cristiana comporta. Siamo chiamati a fare memoria che non significa “ricordare i tempi antichi”: celebrare il memoriale significa vivere la Pasqua come momento del nostro presente ma strettamente connesso al passato e proiettato al futuro.

Pasqua indica “passaggio”. È il passaggio di Dio nei tempi del popolo di Israele che fugge dall’Egitto, ma oggi è il passaggio di Dio nella nostra vita. Vivere e celebrare la Pasqua quindi è molto di più di un ricordo, non consiste in una serie di riti pur ricchi di significati. È il passaggio di Dio che mi conduce fuori dalla schiavitù. Con il passare del tempo la celebrazione della Pasqua, oltre a divenire il giorno del Signore, la Domenica, si è sviluppata fino alla istituzione del cosiddetto “Triduo Pasquale”. In esso (Giovedì, Venerdì e Sabato Santo) la Chiesa ci propone una serie di liturgie che ci presentano gli ultimi giorni della vita del Signore. Attraverso questo breve percorso, facciamo “memoriale” perché abbiamo la sintesi della vita di Colui che diventa esempio di vita per ciascuno di noi.

Oltre alle ultime parole di Gesù ci troviamo di fronte ai gesti qualificanti del nostro essere credenti. Il Giovedì Santo la lavanda dei piedi. Il richiamo a vivere con il grembiule. L’invito a spendere la vita per gli altri, con chi ci sta accanto nel quotidiano, siano esse le persone degli affetti o le persone che, con la stessa cura, “prendiamo in carico” nelle nostre case della carità. Il Venerdì Santo, il giorno della croce, è certamente giorno della tristezza. Possiamo ben dire che ogni giorno è un venerdì di passione carico di problemi, di male, di insulti alla giustizia, alla fraternità, ai più poveri. È il giorno in cui si prova la tentazione di essere abbandonati. Anche Cristo sulla croce grida all’abbandono. Ma Lui, debole sulla croce, condivide la nostra debolezza e non solo ci dice che si può risorgere ma ci dona la forza per essere a nostra volta capaci di redimere il mondo. Il sabato santo è il giorno del silenzio, di quell’apparente deserto nel quale camminiamo non con il passo dei depressi ma con il passo della speranza.

Auguro a tutti che i prossimi siano davvero giorni di primavera. Una nuova stagione ricca di attenzione verso la propria vita e verso quella di chi avviciniamo e serviamo; con il cuore ricco e lo sguardo capace di vedere e poi di “stare con”, di accompagnare una parte di umanità nella bellezza della casa comune.