La Diocesi di Genova avvia una mappatura delle disponibilità abitative presso parrocchie, enti ecclesiali, istituti religiosi, fondazioni.

La Diocesi di Genova avvia una mappatura delle disponibilità abitative presso parrocchie, enti ecclesiali, istituti religiosi, fondazioni al fine di avere un quadro più completo possibile delle unità immobiliari libere e destinabili a persone e famiglie nel disagio abitativo.

La rilevazione è affidata alla Fondazione Auxilium, in accordo con Caritas Diocesana di Genova.

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Emergenza abitativa | Il quadro

Gli indicatori confermano un quadro che si va aggravando in modo drammatico: migliaia di famiglie non riescono a far fronte alle spese di mantenimento del bene tra amministrazione e utenze; nella quasi totalità dei casi, gli sfratti vengono dati per morosità e questo determina l’impossibilità di ritrovare qualcuno disposto a fare un nuovo contratto d’affitto.

Le famiglie più esposte al rischio della strada sono quelle prive di rete familiare solida che dia garanzie o offra ospitalità, in particolare famiglie straniere,  ma non solo.

L’edilizia popolare non può assorbire tutte le domande in attesa: l’ultimo bando per l’assegnazione di case ERP ha contato circa 2.900 domande. Le assegnazioni vanno molto a rilento.

L’emergenza abitativa, tuttavia, non è solo mancanza di casa ma anche affitti troppo cari per quelle famiglie che hanno un po’ di reddito – e per questo non avranno ragionevolmente mai una casa ERP –  ma non possono permettersi un affitto di mercato.

La perdita della casa comporta una serie di effetti-domino conseguenti: ansia per il futuro, cambio di quartiere dove già si aveva una rete di vicinato e amicale, fatica di un costante inserimento dei figli piccoli o adolescenti, nel caso di sistemazioni provvisorie…  L’esperienza ha insegnato che l’ingresso in un alloggio d’emergenza provvisorio determina una forte regressione nello stato generale della famiglia: comparsa o aumento dei conflitti, percezione di fallimento e totale sfiducia, perdita di capacità professionali.

In molti casi, il tema della perdita della casa si intreccia ad una povertà multifattoriale che si scarica sulle generazioni a seguire, indebolendole sempre più sul piano personale, relazionale, culturale, occupazionale. Una povertà che i Centri di Ascolto Vicariali della Diocesi e gli studi dell’Osservatorio delle Povertà e delle Risorse della Caritas Diocesana ascoltano e rappresentano da decenni.

Alla precarietà abitativa di molte famiglie si aggiunge la condizione delle persone senza dimora che vivono in strada o sono accolte dalla rete degli enti ecclesiali e di Terzo settore, – tra cui come noto Fondazione Auxilium – in coordinamento con le Istituzioni.

 

Emergenza abitativa | Come Chiesa, una risposta comunitaria

“La casa per molti oggi è un autentico fattore di impoverimento – commenta p. Marco Tasca, Arcivescovo di Genova -. La Chiesa di Genova è da sempre prossima a tutte queste situazioni sia tramite enti e uffici dedicati sia con opere-segno nate in circostanze straordinarie per la vita ecclesiale, come le Case Giubilari del 2000 o le accoglienze notturne aperte con il Congresso Eucaristico Nazionale svoltosi nella nostra città nel 2016. Ora però serve fare un passo in più e precisamente nella direzione di una accoglienza diocesana, diffusa, comunitaria e sinodale: una chiesa che cammina e agisce insieme, ancora più aperta ed accogliente, che valorizza carismi e mette in comune risorse.”

“La mappatura che abbiamo deciso di avviare – conferma Mons. Andrea Parodi, Vicario episcopale per il servizio della carità e per gli affari economici – risponde appunto a queste due esigenze: capire come aggiornare la risposta della chiesa al dramma di persone e famiglie in difficoltà e, al tempo stesso, far diventare questa risposta una esperienza di comunità cristiana, a livello parrocchiale, vicariale, per gli ordini religiosi presenti nei territori, gli enti e gli istituti a carattere ecclesiale. Abbiamo affidato ad Auxilium il compito di predisporre gli strumenti per avviare la mappatura: da sempre Auxilium accoglie nei suoi immobili le persone più povere e la sua esperienza sarà strumento per svolgere questo servizio a tutta la nostra chiesa. Tutte le realtà coinvolte si sentano interpellate non nel dovere, ma nel poter essere una risposta cristiana per il bene comune.

Storie | Una casa per Libera

di Luca Feletti | Coop. Soc. Il Melograno

Tranquilla. Stai tranquilla, le hanno detto, così tante volte che “tranquilla”, ormai, risuonava come la premonizione di un problema. E così tranquilla era la nuova ansia.

Fu per amore che Libera lasciò il suo paese, per seguire l’amore. È lì che la storia al contrario di Libera ha inizio. Lo strappo con la famiglia fu lacerante: Libera trovò l’amore ma perse la famiglia, la casa, la familiarità. Trovarsi straniera nella sua propria terra, senza più quella familiarità che è il legame più forte con la propria vita. Per quell’amore che inseguiva, più nel suo ideale che nell’oggetto del suo amore. Libera è una giovane ragazza che si innamora ma l’oggetto del suo amore non è accettato dalla famiglia, così le incomprensioni diventano distanze, e le distanze diventano così ampie da non riuscire più a vedersi e a sentirsi. E così, senza quasi averne consapevolezza, quella familiarità è ormai diventata estraneità.

Libera è giovane e crede che con la forza dell’amore tutto sia possibile, ogni problema potrà essere risolto. Ma la vita non è mai così facile. In quell’amore di un rosso vivo compaiono le prime sfumature nere: bisogna sopravvivere alla strada e l’amore da solo non basta. E deviare verso la strada sbagliata, vivendo in strada, è una necessità più che un errore. I problemi iniziano a diventare gravosi, così Libera e il suo amore devono lasciare quel paese che poco o nulla è, ormai, per loro familiare. Arrivano in Italia con una borsa piena di sogni e amore ma ben poco altro. Borsa che trova la sua collocazione negli stipetti di un dormitorio, di uno dei vari dormitori cittadini. Stai tranquilla, le dicono. Libera e il suo amore passano da un dormitorio all’altro, mese dopo mese. A volte vicini, a volte distanti come sconosciuti. Tranquilla, finito il mese in dormitorio, ne troveremo un altro. Tranquilla.

Il sogno del grande amore inizia a disperdersi: contrasti – a volte anche più che contrasti – si susseguono fino alla definitiva rottura, non certo indolore. Un altro grande strappo nella sua vita. Quel grande amore dal vivido colore rosso, piange gocce di un rosso altrettanto lucente, un rosso sangue.

Libera ha bisogno di protezione, ora, ma è giovane e ha tutta la sua vita che la aspetta, una vita che vuole riprendersi in mano. Libera vuole costruirsi il futuro di cui ha diritto. Purtroppo la vita e i tempi dei dormitori sono un ostacolo non da poco; Libera, appoggiandosi a Fondazione Auxilium e ai servizi cittadini, trova opportunità lavorative che, però, difficilmente si sposano con la vita in dormitorio. Le regole di queste strutture, infatti, poco si adattano ai suoi tempi. Libera si sveglia alle 4 del mattino per andare a fare pulizie negli uffici attraverso la cooperativa per cui lavora e durante il giorno riposa nel centro diurno con il sottofondo della TV accesa e delle chiacchiere di chi abita quel luogo. È evidente che Libera ha bisogno di un aiuto diverso, un aiuto che permetta di ricostruire quella vita di cui una ragazza di vent’anni ha assolutamente diritto.

Il modello dei dormitori, delle accoglienze notturne, è stato e può essere un intervento salvavita ma non può essere la vita. Non può essere una ‘struttura’ su cui ricostruire la propria vita, non può essere una base per ricostruire. Quindi c’è solo una cosa da fare: cambiare il sistema di sostegno. Creare un sistema che permetta alle persone di emanciparsi da un sistema passivo – dove altri decidono per noi – a favore di un modello di partecipazione attiva alla propria vita. Questa innovazione, questo nuovo paradigma ha un nome molto semplice: CASA.

A fronte di queste esperienze – di Libera e di molte altre persone come lei, persone che vogliono ricostruirsi la vita – è nato un progetto pilota, in sinergia fra Caritas Diocesana di Genova, Fondazione Auxilium e Coop. Soc. Il Melograno: un appartamento in un quartiere cittadino è diventato, a tutti gli effetti, una vera casa per tre donne che vivono uno stato di difficoltà analogo a quello precedentemente descritto.

Libera e le coinquiline sono nuovamente protagoniste della loro vita, possono decidere per sé anche le cose più semplici, impossibile in un contesto come quello del dormitorio. La casa permette alle persone di tornare a far parte del tessuto sociale anche grazie al supporto di educatori e volontari, un’integrazione ecologica con il quartiere e con tutto il tessuto cittadino; integrazione che non è solo una risposta ai bisogni primari e alla cura ma anche e soprattutto alla socialità, al concetto di comunità partecipata.

Questa casa attinge dagli otto principi fondamentali di ‘Housing First’, progetto nato negli anni ’90 con radici nelle zone più povere di New York e che in Italia è promosso da fio.PSD, la Federazione Italiana Organismi Persone Senza Dimora. Il progetto, che vuole dare una risposta efficace al profondo problema delle persone senza dimora, si fonda sulla autodeterminazione delle persone e su un modello persuasivo e non impositivo.

Oggi Libera vive nella sua casa. Lei e le sue co-inquiline non saranno più ospiti, non avranno un tempo di scadenza e quella sarà la loro casa fino a quando lo vorranno, fino a quando non faranno scelte diverse. Una casa dove vivranno una vita sempre più da protagoniste piuttosto che da comparse.

Libera non è un nome di fantasia.  Libera è la condizione di una donna a cui è stata data l’opportunità di riappropriarsi della propria vita.

Storie | Dalla morte alla vita con una casa

di Lucia Foglino | Caritas Diocesana di Genova

Stefano ha una vita difficile: orfano di madre, un padre assente, vive un po’ in comunità un po’ in affido e ha un sogno: diventare ricco. Non ha molti strumenti e prende le scorciatoie che gli capitano: scippi, furti, anche il carcere si aggiunge alla lista delle sue dimore. Non spaccia, non ha mai toccato un’arma vera, paga anche per altri e, ancora moto giovane, arriva la diagnosi di cancro ai polmoni, probabilmente per le troppe sigarette fumate da quando ha 12 anni. La malattia galoppa finché il giudice stabilisce l’incompatibilità con la detenzione e stabilisce la scarcerazione per motivi di salute. Già: ma dove andare? Solo, senza un soldo, senza amici e malato terminale. Un’associazione, attiva in carcere, si offre di cercare una sistemazione abitativa che, purtroppo, sarà per un periodo breve: Stefano ha forse la prospettiva di un mese di vita. Il piccolo monolocale è di proprietà di una fondazione e ha una bella vista sul mare, affare fatto, finalmente fuori, Stefano potrà trascorrere nella maggiore serenità possibile quanto gli resta da vivere. Ma non sarà così: le cure proseguono, la libertà gli ridà forze, ritrova qualche amico e si riprende. Sa bene che non sarà per molto e chiede di lavorare per potersi mantenere e, attraverso un’attivazione sociale, opera per poche ore a settimana ripulendo le aiuole di un parco. Numerosi colloqui svelano una persona che riconosce i propri fallimenti, le proprie fragilità ma chiede aiuto per fare qualcosa di buono anche in quest’ultimo spiraglio di vita e di quasi salute che pare gli sia concesso. Non un mese di vita ma 3 anni, durante i quali Stefano ha trovato ancora la voglia di vivere, un po’ di serenità e qualche amicizia. Il monolocale è la sua soddisfazione, il luogo che ama. La malattia non dà scampo e, in breve tempo, l’aggravamento lo porta al ricovero e al decesso. Muore da persona che, nonostante tutto, ha recuperato in poco tempo la vita perduta: al suo funerale non c’è il deserto della solitudine, ci sono gli operatori che lo hanno accompagnato, gli amici ritrovati e i vicini di casa.

Storie | Tutto questo per l’alluvione…..

di Lucia Foglino | Caritas Diocesana di Genova

Genova, novembre 2014. Una nuova alluvione, a 3 anni dal quella devastante del 2011, colpisce varie zone della città tra cui la Valbisagno. Qui, in un piccolo appartamento a piano terra, abitano Biagio e Serena coi loro 3 figli, il più piccolo di appena 1 anno. Lui pizzaiolo, lei addetta alle pulizie in un albergo, si sono sempre dati da fare per guadagnarsi la pagnotta e non hanno mai chiesto aiuto a nessuno. La casa è piccola e infelice ma è tutto quello che possono permettersi. Quella sera, in un attimo, viene invasa da fango e acqua, Biagio e Serena fanno appena in tempo a svegliare i figli e fuggire al piano di sopra, in pigiama, accolti dai vicini, anch’essi terrorizzati da quello che sta avvenendo. Trascorsa la notte, rassicurati i figli, il primo contatto con la protezione civile e i Servizi Sociali e una sistemazione provvisoria in una palestra. Ancora non sanno che, oltre la casa, perderanno anche il lavoro perché la pizzeria e il ristorante dove Biagio e Serena lavoravano sono stati alluvionati e non riapriranno più. Trovano altre famiglie accampate e tutte, nel giro di qualche giorno, riescono a trovare una sistemazione. Loro no. Verranno poi accolti in un piccolo alloggio d’emergenza messo a disposizione dalla Caritas. La paura ha provocato in Biagio uno stato ansioso con attacchi di panico che sta minando la sua salute. Con la perdita del lavoro sfuma anche la speranza di poter trovare in breve tempo una casa in affitto, solo Serena trova lavoro come colf presso una famiglia, comunque con un guadagno esiguo, nessuno le farà mai un contratto d’affitto. L’unica speranza è l’assegnazione di una casa popolare, per la quale si affrettano a fare domanda appena esce il bando, casa che arriva oggi, nel 2023, dopo ben 9 anni dal tragico evento che ha sconvolto la loro vita. Nessun punteggio aggiuntivo per la perdita della casa in seguito all’alluvione, nessun punteggio per la salute compromessa di Biagio, non è abbastanza grave, pochi punti per la presenza di figli minori uno dei quali, nel frattempo, ha compiuto 18 anni. “Siete 5! Ci vuole una casa grande! Ce ne sono poche” si sentono rispondere quando provano a sollecitare. Che strano! Chi è solo si sente rispondere che “ci sono tante famiglie che aspettano, hanno la precedenza quelli che hanno figli piccoli”. Una casa scomoda, piccola, nella periferia della periferia della città, con servizi di trasporto limitati, lontana da tutto, senza possibilità di altra scelta. Quella che doveva essere una gioia, purtroppo, è un’amara delusione.