di Gigi Borgiani
direttore
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Tra i tanti suggerimenti che Papa Francesco offre nella sua ultima Esortazione ApostolicaGaudete et exsultate c’è un riferimento al senso dell’umorismo (122). Così mi verrebbe da dire: “Caro papa Francesco, c’è poco da stare allegri! Se guardo il mio cammino di santità… beh… lasciamo perdere; se, per dirla con il profeta Geremia “esco in aperta campagna, ecco i trafitti di spada (Siria); se percorro la città, ecco gli orrori della fame (indifferenza, spreco, consumo, ostilità verso i migranti). Anche il profeta e il sacerdote si aggirano per il paese e non sanno che cosa fare. Aspettavamo la pace, ma non c’è alcun bene, l’ora della salvezza ed ecco il terrore! Ma per il tuo nome non abbandonarci, non rompere la tua alleanza con noi!

No! Il Padre non rompe l’alleanza. Nel testo del papa si parla anche di pazienza (7) e la pazienza misericordiosa del Padre è davvero infinita (112, 113, 174); di conseguenza, nonostante le cose che non vanno e il procedere a rilento, molto a rilento, sulla via della santità, cogliamo nella lettera del Papa una serie di inviti alla fiducia, alla perseveranza, alla gioia. Non resta che trovare un po’ di tempo, leggere, meditare, discernere e correggere. Come di consueto, il Papa indica le strade e, su tutte, quella delle Beatitudini alle quali è dedicato tutto il terzo capitolo.

Ricorrente il richiamo alla relazione con Dio (51, 52, 56, 157), all’ascolto della Parola, alla preghiera (147), alle varie caratteristiche della santità (capitolo quarto), al discernimento (capitolo quinto). Il tutto per una santità del quotidiano, per una santità che non appartiene a pochi (6) ma che appartiene a chi “appartiene”. Riprendendo il Concilio, infatti, Francesco così si esprime: “Lo Spirito Santo riversa santità dappertutto nel santo popolo fedele di Dio, perché «Dio volle santificare e salvare gli uomini non individualmente e senza alcun legame tra loro, ma volle costituire di loro un popolo, che lo riconoscesse secondo la verità e lo servisse nella santità». Il Signore, nella storia della salvezza, ha salvato un popolo. Non esiste piena identità senza appartenenza a un popolo. Perciò nessuno si salva da solo, come individuo isolato, ma Dio ci attrae tenendo conto della complessa trama di relazioni interpersonali che si stabiliscono nella comunità umana: Dio ha voluto entrare in una dinamica popolare, nella dinamica di un popolo” (6). E ancora: “Mi piace vedere la santità nel popolo di Dio paziente: nei genitori che crescono con tanto amore i loro figli, negli uomini e nelle donne che lavorano per portare il pane a casa, nei malati, nelle religiose anziane che continuano a sorridere. In questa costanza per andare avanti giorno dopo giorno vedo la santità della Chiesa militante. Questa è tante volte la santità “della porta accanto”, di quelli che vivono vicino a noi e sono un riflesso della presenza di Dio” (7).

In queste frasi non è difficile vedere il nostro quotidiano servizio, la vita che, in silenzio, corre nelle relazioni delle nostre strutture. Non è certo mancanza di umiltà ma spunto di incoraggiamento individuare le nostre giornate come cammino di santità personale e di comunità, di popolo. È molto bello pensare che il lavoro/servizio che svolgiamo possa diventare un segno comunitario. Una comunità in cui non solo si opera, ma ci si riconosce e ci si unisce. “La vita comunitaria, in famiglia, in parrocchia, nella comunità religiosa o in qualunque altra, è fatta di tanti piccoli dettagli quotidiani” (143) a cominciare, direi, dal prendersi cura gli uni degli altri (145) e dallo scrutare davanti a Dio le strade della vita (175) a servizio degli altri (101, 102).