Oltre 250 persone hanno partecipato all’incontro del 28 settembre con don Luigi Ciotti alla Basilica delle Vigne, primo appuntamento per i 90 anni di Auxilium

 

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“È questo l’augurio che vi faccio: il simbolo del gufo che si trovava negli antichi monasteri. Uccelli che hanno occhi grandi e vedono nella notte. Vi faccio l’augurio di vedere con questi occhi, in una stagione di fatiche e di dolori, ma anche di tante belle cose che si realizzano. Dobbiamo continuare a dare minestre perché a quella fame bisogna rispondere ma lo dobbiamo fare con consapevolezza, per vedere l’orizzonte più ampio che ci chiama in causa. Con gli occhi grandi del gufo, dobbiamo vedere nel buio la luce che viene dall’impegno e dal coraggio di tanti, per rispondere al grido di Dio che ci chiama ad impegnare un po’ della nostra libertà per liberare chi libero non è.”

È il passaggio conclusivo del lungo, appassionato intervento di don Luigi Ciotti, fondatore del Gruppo Abele e di Libera, al centro del primo incontro per i 90 anni di Auxilium, svoltosi martedì 28 Settembre 2021 presso la Basilica delle Vigne. Promosso in collaborazione con la Caritas Diocesana di Genova, l’appuntamento ha richiamato in Basilica oltre 250 persone, nei limiti imposti dal distanziamento anti-Covid: cittadini, volontari e operatori sociali, giovani e anziani, rappresentanti delle Istituzioni – tra cui il Prefetto e il Questore di Genova -, laici e consacrati – tra gli altri, anche il Vescovo di Savona, Mons. Calogero Marino. Una partecipazione corale e plurale che continua a raccontare una storia di Chiesa che è anche storia di tutta la Città. L’incontro è stato trasmesso in streaming sul canale Youtube de Il Cittadino e sulla pagina Facebook di Auxilium e in diretta Tv su Telepace 3 – Canale 115. Chi l’avesse perso può rivederlo sempre su Youtube, sia de Il Cittadino che di Auxilium.

 

Borgiani: “Rinnovare la nostra responsabilità e la cultura del noi”

“Ringraziamo don Luigi Ciotti che ha accolto il nostro invito per avviare insieme una riflessione sulla nostra storia, in ascolto del presente – ha esordito Gigi Borgiani, direttore di Fondazione Auxilium -. L’ascolto senza la messa in pratica, la messa a terra, come si dice oggi, diventa vano. Siamo qui, pertanto, per ascoltare ma anche per assumere, rinnovare le nostre responsabilità che abbiamo verso i soli, gli ultimi, i penultimi e anche verso tutti coloro che, nella cultura del superfluo e del consumo, hanno perso il senso, sono distratti, dispersi nel proprio io. Dobbiamo alimentare la cultura del noi, a favore di tutti gli abitanti della casa comune.”

 

Piccinini: “Don Piero e il sogno di non aver bisogno dell’Auxilium”

“Sempre la solita minestra?” era il titolo provocatorio affidato alla riflessione di don Ciotti e della platea. Introducendo la serata Silvana Piccinini, una vita spesa in Auxilium e in Caritas accanto a don Piero e oggi attiva nell’Associazione che ne porta il nome, ne ha sintetizzato il senso con un ricordo, a tutta prima, spiazzante: “Don Piero ripeteva sempre di avere un sogno: il sogno che l’Auxilium sparisse, il sogno che di Auxilium non ci fosse più bisogno il giorno in cui ogni comunità parrocchiale avesse accolto i poveri per farli sentire a casa loro. Invece oggi, come nel 1931, anno di nascita di Auxilium, ci ritroviamo a dare ancora minestre a chi ha fame. Vogliamo chiederci cosa è mancato, cosa deve cambiare.” Alle comunità parrocchiali ha fatto riferimento anche Mons. Nicolò Anselmi, Vescovo Ausiliare e parroco alle Vigne, nel suo saluto di benvenuto: “Sappiamo che, oltre alle istituzioni diocesane, la carità è compito di ogni comunità cristiana, la realtà di Chiesa più piccola, animata dallo Spirito Santo. Questo è lo specifico della Chiesa: prendersi cura dei singoli con rapporti interpersonali, che vanno al di là dell’intervento puramente materiale o istituzionale. Che bene fanno i gesti nascosti delle comunità e grazie a Caritas e Auxilium laddove sono riuscite a trasformare le comunità in luoghi di carità.”

 

No al monologo dell’io, sì all’alfabeto del noi

Con il suo stile vibrante, ricco di parole apprese dalla condivisione con gli esclusi, di mani e sguardi scossi dalla passione per il Vangelo, Don Ciotti ha colto e rilanciato la sfida di un ente che non vuole ricordare i suoi 90 anni per celebrarsi ma per essere ancora germe di cambiamento nella comunità: “Dobbiamo sentirci corresponsabili. Non possiamo far finta di nulla, vi prego, non possiamo! Non restiamo in balia degli ondeggiamenti della storia. Come voi state facendo, dobbiamo mettere mano alle nostre radici per spargere semi di fiducia nel futuro. Quello che manca non è tanto l’impegno e il coraggio di alcune punte, manca l’audacia propria di tutta una comunità, insieme. Solo un noi unito, ribelle e coraggioso potrà produrre un cambiamento e aiutarci a lasciarci alle spalle una stagione di ingiustizie e anche di tanta disumanità. No al monologo dell’io, sì all’alfabeto del noi, ad una risposta collettiva. Il problema dunque è anche educativo e culturale: alla base dell’identità personale e sociale bisogna ci sia la corresponsabilità del noi. È una grande responsabilità che abbiamo, quella educativa. Occorre un cambiamento radicale, non solo politico, ma delle coscienze, della cultura, dell’educazione, della testimonianza concreta, perché sulla testimonianza la gente si mette in gioco, per attrazione. Dobbiamo confrontarci e lavorare con tutti, con chi ritiene il diritto all’esistenza un obbligo di civiltà e la povertà un crimine contro l’umanità. Serve una politica pulita e seria che dobbiamo incoraggiare, altrimenti vi prego di essere spine nel fianco, per amore, di persone che non fanno il bene comune.”

 

Non dimentichiamo la strada

“Cosa unisce questi 90 anni di Auxilium – si è chiesto don Ciotti – i 50 di Caritas Italiana, il sogno di don Tubino, il nostro impegno? Ci unisce la strada. La strada è il luogo dell’incontro, di chi è ai margini, ma è anche il luogo della festa e della condivisione. La strada ci ha unito ieri e deve unirci oggi. Continuiamo a sentire il grido di libertà dalla strada. Grido di libertà e giustizia. Quanti bussano ancora alle nostre porte! Vi prego: la strada! Grande protagonista del Vangelo. È la strada che ci ha educato tutti, a mettere al centro la persona e la sua originalità. L’imprevedibilità della sua storia. Voi lo avete visto, in tutte le attività che portate avanti, che le storie delle persone non sono derive irreversibili. Perché molte persone, che sembrano rassegnate, trovano punti di riferimento, motivazioni e progetti se non vengono abbandonate al loro destino. La strada è stata la nostra protagonista. La strada ci ha anche insegnato a guardarci dentro, a non avere paura dei nostri limiti e delle nostre contraddizioni, neppure delle nostre ambiguità. Resti vi prego la strada il nostro riferimento.”

 

Dormire sui treni a Porta Nuova

“Dobbiamo stare vicino alla vita. In tutte le sue espressioni. Alle persone. Stare vicino significa starci dentro. Abbandonando la pretesa di conoscere, di decidere da posizioni privilegiate, dall’alto delle nostre postazioni garantite, delle nostre scelte fatte a tavolino sulla pelle della gente. Io ringrazierò sempre Dio del periodo in cui ho potuto dormire sui treni a Porta Nuova. Quando arrivavano i vagoni caldi nelle notti di inverno… c’era l’assalto. Io li ho capito, come molti di voi hanno capito, che non si può decidere dall’alto, a tavolino! Abbiamo bisogno veramente di ascoltare i poveri. Anche certe persone economicamente garantite dentro sono sole e disperate. Stare vicino alla vita delle persone, entrare in relazione. La relazione: è attraverso gli altri che diventiamo pienamente persone. Gli altri sono il termometro della nostra umanità.”

 

Don Tonino Bello e Bartolo, ostensorio di Dio

“Io ho avuto un caro amico, molto caro, un vescovo morto giovanissimo che mi ha lasciato la stola che indossava nel tempo della sua malattia. È don Tonino Bello. Innamorato di Dio, della gente! Prima di morire mi disse che non poteva più andare a trovare a Roma Bartolo, che dormiva in un cartone davanti alla casa editrice Àncora. Tonino diceva che nei poveri ci sono frammenti di Dio. E voi che i poveri li incontrate sapete che lì c’è Dio, nei poveri. Ma Tonino Bello diceva un’altra cosa meravigliosa: quella scatola di cartone è un ostensorio! Non dimentichiamoci di questi ostensori in cui possiamo adorare Dio. Nelle sofferenze, nelle angosce, lì c’è Dio. È l’umano che ci permette di trovare il divino. Non basta cercare Dio, bisogna anche accoglierlo, ma chi serve e onora le persone onora e serve Dio.

 

È urgente ascoltare i poveri

“Nell’invito per questo incontro – ha sottolineato don Ciotti – avete scritto che nel 2021 ci ritroviamo a distribuire ancor minestre, un’attività sempre urgente malgrado il passare dei decenni. Ecco: vorrei dire qualcosa sulla parola ‘urgenza’. L’urgenza ci spinge, ci incalza. È qualcosa di dinamico, ci sposta da dove siamo, ci obbliga a cambiare posto e quando parliamo di urgenze stiamo già parlando di un cambiamento in atto. È quel cambiamento che oggi ci spinge a confrontarci su cosa possiamo fare in più rispetto a quanto già di bello abbiamo fatto fino ad oggi, rispetto alle migliaia di minestre pur necessarie. Questo cambiamento vogliamo subirlo o deciderlo? Il popolo della strada si è moltiplicato rispetto ad anni fa. È urgente: questa è la parola che chiediamo alla politica e a tutta la realtà. Sono i poveri, sono proprio loro ad offrirci le coordinate sociali, etiche, economiche, politiche del nostro impegno. O partiamo da lì, da ciò che loro ci indicano, oppure non sveleremo il nuovo. Quello che deve essere costruito deve tenere conto della fatica e del dolore dei poveri.”

 

No alla solidarietà senza giustizia

“No alla ortopedia sociale, no a limitarsi a tamponare situazioni di sofferenza e disagio senza realizzare la giustizia! In questo paese c’è una sproporzione tra solidarietà e giustizia. Noi non possiamo diventare i delegati ad occuparci dei poveri. Certo che ce ne occuperemo fino all’ultimo respiro della nostra vita ma dobbiamo lottare per far sì che queste fragilità e ingiustizie vengano accolte nella società. Nella Evangelii Gaudium Papa Francesco ricorda che solidarietà è una parola nobile ormai ambigua e logorata. Francesco ricorda che bisogna affrontare le cause strutturali della povertà e le sue ragioni economiche e politiche. È un compito che umilmente tocca anche noi, che ogni giorno ce la mettiamo tutta con tutti i nostri limiti ma sentiamo forte tutto questo. E tocca alla politica, perché risponda ai bisogni delle persone. Paolo VI, un gigante, diceva di non dare per carità ciò che bisogna dare per giustizia.”

 

L’importanza della fragilità

L’ultima parola che voglio prendere in considerazione e che ci chiama in gioco tutti è fragilità. Perché? Perché ci accomuna tutti, fragile è la condizione umana. Saperlo è ciò che ci rende forti. Io so di essere fragile, alcune cose mi riescono, altre no, quello che non faccio io lo fanno altri. L’importanza allora di fare le cose insieme, di vederci in una casa comune, di trasformare un Laudato Si’ in Laudato qui! Questa che stiamo vivendo è la prima estinzione di massa fatta dalle nostre stesse mani. Ecco siamo piccoli, fragili. Se lo sappiamo ci rendiamo forti perché ci accogliamo e ci prendiamo cura gli uni degli altri e del pianeta e non allontaniamo i deboli per paura della nostra debolezza. Chi non riconosce la propria fragilità difficilmente capisce quella degli altri. Prendiamo coscienza della nostra fragilità perché solo una società cosciente delle proprie fragilità e contraddizioni si apre, si unisce, è solidale ed accoglie.”