di Luigi Borgiani,direttore

La raccolta di indumenti invernali a favore delle persone profughe ha dato risultati davvero straordinari anche se non del tutto inaspettati. Già nei giorni precedenti il 3 e 4 Ottobre si aveva la percezione di una buona risposta. Così, come in parte sperato, non si è provveduto solo a vestire coloro che hanno lasciato tutto in cerca di vita e speranza, che hanno perso tutto, ma anche le tante persone che quotidianamente affollano i nostri centri alla ricerca degli elementi base per sopravvivere. Inoltre il frutto della raccolta ha potuto essere distribuito non solo tra le organizzazioni promotrici ma anche alle tante altre che, nel territorio genovese, si adoperano per sovvenire chi è nella necessità.

Ma cosa resta, cosa abbiamo raccolto in termini di significato da questa esperienza? Non basta infatti dire che la raccolta è riuscita; obiettivo raggiunto, siamo soddisfatti (e con noi le persone che potranno indossare gli abiti donati). Resta senza dubbio il quantitativo raccolto che consente di avere ovunque buone scorte; resta la generosità, resta soprattutto l’aspetto partecipativo. Le persone, giovani e meno giovani, si sono mosse; singoli e gruppi si sono attivati e hanno portato; una volta tanto non abbiamo chiesto denari nelle chiese o nelle piazze. Abbiamo chiesto un gesto di condivisione e la gente ha capito e ha risposto. Resta la convinzione che dietro al gesto ci sia un pensiero positivo, un pensiero di accoglienza, la scelta di dare una mano. Per noi significa anche incoraggiamento, entusiasmo per procedere nei nostri servizi che sempre più sono orientati allo ’stare con’ e non solo al ‘fare per’; significa non sentirci i delegati alla carità ma parte di una comunità viva che vuole vivere e condividere con tutti. Resta quindi la riconoscenza per il gesto, per i tanti gesti, per i tanti volti, anche quelli dei bambini, che nel loro pellegrinaggio verso i centri di raccolta hanno desiderato idealmente stare accanto, camminare con chi non vuole più fuggire ma approdare ad una vita dignitosa.

Cosa resta ancora? Resta ancora molto da fare. È stato fatto un passo. Sappiamo che non è sufficiente dare cibo, un tetto, un vestito. Occorre verificare la nostra percezione dell’altro e contribuire a non considerarlo una minaccia. Rivedere il nostro modo di pensare e di vivere perché sia più condiviso. Occorre che il nostro gesto, i nostri gesti siano una autentica e costante ricerca del bene comune e non solo una risposta temporanea, di emergenza, magari emotiva. Occorre creare e vivere quei luoghi, sollecitati da Papa Francesco nella Evangelii gaudium(*), in cui gesti quotidiani e pensiero si integrano per sostenere e servire i meno fortunati ma anche per combattere le cause che provocano il male e la disperazione di troppa parte dell’umanità, per sviluppare la cultura della cura della casa comune.

Accogliere, accompagnare, cambiare. Ognuno di noi può essere il cambiamento che vorremmo si verificasse. Si apre ora una nuova opportunità per non esaurire nella raccolta di indumenti la nostra attenzione alle persone profughe, alle persone senza dimora. Si inizia in questi giorni una nuova fase di accoglienza e accompagnamento: quella nelle parrocchie, con il coinvolgimento delle famiglie e della comunità.

Una opportunità che non possiamo disattendere.

(*) “…luoghi in cui rigenerare la propria fede in Gesù crocifisso e risorto, in cui condividere le proprie domande più profonde e le preoccupazioni del quotidiano, in cui discernere in profondità con criteri evangelici sulla propria esistenza ed esperienza, al fine di orientare al bene e al bello le proprie scelte individuali e sociali” (EG 77).