di Gigi Borgiani
Alle soglie del nuovo anno è più che comprensibile mettere la speranza nella scatola dei desideri e come ogni anno anche il 2021 sarà scandito da “giornate” che la Chiesa (noi chiesa) mette in calendario per tenere viva l’attenzione su alcuni temi che coinvolgono tutta l’umanità e i credenti per primi: giornata dei diritti, della gioventù, dell’alimentazione, delle comunicazioni, delle missioni, dei poveri etc. Non a caso 54 anni fa San Paolo VI indisse la prima Giornata Mondiale della Pace nel primo giorno dell’anno per significare che la pace, nella sua globale valenza, è a fondamento del vivere comune e quindi di tutti gli aspetti che riguardano l’umanità: “Ci rivolgiamo a tutti gli uomini di buona volontà per esortarli a celebrare la Giornata della Pace, in tutto il mondo, il primo giorno dell’anno civile, 1° gennaio 1968. Sarebbe Nostro desiderio che poi, ogni anno, questa celebrazione si ripetesse come augurio e come promessa – all’inizio del calendario che misura e descrive il cammino della vita umana nel tempo – che sia la Pace con il suo giusto e benefico equilibrio a dominare lo svolgimento della storia avvenire: essa vorrebbe incontrare l’adesione di tutti i veri amici della pace”.
Per celebrare la 54° Giornata dobbiamo domandarci se noi siamo davvero questi veri amici della pace; se, in poche parole, siamo tra coloro che, partendo dalla relazione con il Signore, sono capaci di crescere nel quotidiano e artigianale compito di costruire relazioni di pace. Il Messaggio di Papa Francesco per questa Giornata – “La cultura della cura come percorso di pace” – incoraggia tutti a diventare “profeti e testimoni della cultura della cura, per colmare le tante disuguaglianze sociali” (7).
In questo tempo pandemico, reso complesso da paure, sfiducia, decreti, opinioni contrastanti e confuse, abbiamo imparato il termine lockdown, che rischia di mettere in secondo piano un altro termine, molto più drammatico, che sarà il leitmotiv dei prossimi anni: disuguaglianza! Non è difficile identificare gli aspetti di una realtà che, al di là del contagio, rischia di mettere tutti contro tutti, di creare nuove categorie, di rendere più faticosa la strada del futuro; sappiamo che ci aspetta un domani non facile che solo in minima parte potrà essere mitigato da ristori e recovery fund, perché ci sono ferite profonde difficili da rimarginare anche se (tutti ci auguriamo) non mancheranno gli sforzi e gli impegni per dare e ridare a tutti quella giustizia e dignità che ci rende uguali, fratelli. Se, come siamo abituati a dire, siamo tutti sulla stessa barca, il principio di uguaglianza deve essere messo al primo posto nelle scelte di vita di ognuno.
Francesco ricorda quanto scritto nella sua ultima Enciclica, Fratelli tutti: “In molte parti del mondo occorrono percorsi di pace che conducano a rimarginare le ferite, c’è bisogno di artigiani di pace disposti ad avviare processi di guarigione e di rinnovato incontro con ingegno e audacia” (9). Artigiani di pace possiamo esserlo tutti e i processi di guarigione li dobbiamo avviare tutti, a partire da noi fino ai responsabili politici e al settore privato, “affinché adottino le misure adeguate a garantire l’accesso ai vaccini contro il Covid-19 e alle tecnologie essenziali necessarie per assistere i malati a tutti coloro che sono più poveri e più fragili”. Non possiamo dimenticare che, “accanto a numerose testimonianze di carità e solidarietà”, prendono nuovo slancio “diverse forme di nazionalismo, razzismo, xenofobia e anche guerre e conflitti che seminano morte e distruzione”. La pandemia, sottolinea il Papa “ci insegna l’importanza di prenderci cura gli uni degli altri e del creato, per costruire una società fondata su rapporti di fratellanza. Perciò ho scelto come tema di questo messaggio la cultura della cura come percorso di pace” (1).
Francesco indica due vie da percorrere per la cultura della cura. La prima è seguire l’esempio del Maestro: come i cristiani della prima generazione praticavano la condivisione perché nessuno tra loro fosse bisognoso (cfr At 4,34-35) e si sforzavano di rendere la comunità una casa accogliente, aperta ad ogni situazione umana, disposta a farsi carico dei più fragili (5), così questa stessa disponibilità deve divenire abituale oggi nelle nostre comunità. La seconda via è indicata nella dottrina sociale della Chiesa, vera “bussola” dei principi per imprimere una rotta comune al processo di globalizzazione, “una rotta veramente umana” che pone le basi per la cura della dignità e dei diritti della persona (6).
Nel messaggio troviamo riferimenti alla dottrina sociale, dalla Gaudium et spes alla Laudato si’ che, come ricorda il Papa, “prende atto pienamente dell’interconnessione di tutta la realtà creata e pone in risalto l’esigenza di ascoltare nello stesso tempo il grido dei bisognosi e quello del creato. Da questo ascolto attento e costante può nascere un’efficace cura della terra, nostra casa comune, e dei poveri. A questo proposito, desidero ribadire che ‘non può essere autentico un sentimento di intima unione con gli altri esseri della natura se nello stesso tempo nel cuore non c’è tenerezza, compassione e preoccupazione per gli esseri umani’ (Laudato si’, 91). Pace, giustizia e salvaguardia del creato sono tre questioni del tutto connesse, che non si potranno separare in modo da essere trattate singolarmente, a pena di ricadere nuovamente nel riduzionismo”. Nulla ci può lasciare indifferenti.
C’è una terza via che merita di essere considerata ed è quella dell’educazione. Diventa fondamentale allora “un processo educativo” alla cultura della cura, che nasca nella famiglia, “dove s’impara a vivere in relazione e nel rispetto reciproco”, e si sviluppi nella scuola e nell’università e attraverso la comunicazione sociale. Soggetti che sono chiamati a sostenere “un sistema di valori fondato sul riconoscimento della dignità di ogni persona, di ogni comunità linguistica, etnica e religiosa, di ogni popolo e dei diritti fondamentali che ne derivano” (8). E ciò sarà possibile soltanto con un forte e diffuso protagonismo delle donne, nella famiglia e in ogni ambito sociale, politico e istituzionale.
Inoltre, Francesco rilancia la proposta fatta nell’ultima Giornata mondiale dell’alimentazione: “Costituire con i soldi che si impiegano nelle armi e in altre spese militari un ‘Fondo mondiale’ per poter eliminare definitivamente la fame e contribuire allo sviluppo dei Paesi più poveri” (7). C’è da fare! “Dobbiamo fermarci – è l’appello del Papa – e chiederci: come convertire il nostro cuore” per cercare veramente “la pace nella solidarietà e nella fraternità?”.
È la domanda chiave del nostro futuro. Fermarsi ma affrettare di conseguenza i comportamenti e le scelte per coltivare la cultura della cura. Il tempo dettato dalla pandemia è favorevole per la sosta ma non ci esime dall’essere quegli attivi artigiani, veri amici della pace. Le limitazioni del tempo presente non devono arrestare i processi e i percorsi dell’incontro o distanziarci dalla realtà. Abbiamo chiese sempre più vuote, è forse il momento di riempirle per dialogare, per prolungare le nostre celebrazioni che ci devono spingere ad andare, per costruire pace.