di Gigi Borgiani
direttore
Virologia: una sezione della microbiologia. Questa, a sua volta, rientra nel campo della biologia; si passa poi alla epidemiologia e infine (con una intersecazione con la fisiologia) si arriva alla sociologia. Ancora una volta ci troviamo di fronte a quel “tutto è in relazione” di buona memoria (per chi non ha dimenticato la Laudato si’ di Papa Francesco). “Tutto in relazione” e oggi più che mai “tutti in relazione”! Una relazione da un lato evitata per paura del contagio, dall’altro desiderata perché ci rendiamo conto di avere bisogno degli altri. C’è bisogno di parole, di confronto, di gesti, di “stare con”, ma anche di quel silenzio che permette di apprezzare valori troppo spesso dati per scontati o annebbiati. E’ questo un primo aspetto da evidenziare nel tempo del Covid 19.
Un altro aspetto ci è suggerito dalla natura stessa del virus. Non ce ne accorgiamo ma viviamo in un mondo di virus. E’ sufficiente leggere qualche opportuna informazione per renderci conto che i virus sono migliaia, diffusi ovunque, in tutti gli ecosistemi, dal mondo vegetale a quello animale. Tanti, tutti più o meno simili nella struttura, apparentemente semplice, ma capaci di molto, sempre in attesa di infettare qualcuno per sentirsi attivi. Tutti con il loro capside (rivestimento proteico) e il loro materiale genetico. Simili ma diversi, ognuno con la propria specificità. Ecco la diversità. Un termine quanto mai pertinente ai nostri tempi. Basti pensare quanto si è parlato di diversità a proposito delle migrazioni. Tutti in relazione ma diversi. L’unicità di ogni persona ha a che fare quindi con la diversità. Questo significa prendere consapevolezza di sé e degli altri e che non è più possibile dilazionare un contributo all’unità che preferirei definire coesione sociale nel segno della responsabilità.
Un’altra caratteristica dei virus è quella di adattarsi, saper cambiare, mutare. Anche la breve storia del Covid 19 – breve perché non se ne sa ancora molto – ci ha resi partecipi del fenomeno della mutazione. Basta poco per diventare più contagiosi, più aggressivi. La realtà biologica ci rimanda alla nostra capacità di cambiamento. Certamente abbiamo, come società, vissuto tanti cambiamenti che hanno poi influenzato scelte e comportamenti, personali e di gruppo, diversi e diversamente orientati. Viviamo un’epoca di cambiamento, non è una novità! Ce lo ha ricordato anche la Laudato si’ e ce lo ricorda ogni giorno la storia. Oggi siamo di fronte ad un fenomeno improvviso che ha spiazzato tutti. Non è stato e non è facile assumere decisioni per far fronte alla pandemia. Ma abbiamo rilevato con una non celata soddisfazione che ci sono i virus positivi della reazione, della capacità di non subire, del non rassegnarci, del fare fronte comune, del sopportare qualche restrizione, di fare sacrifici, di vivere la solidarietà. Sono tutti elementi che orientano al cambiamento. Il senso di insieme, di comunità ci porta a sconfiggere la paura.
Ci rendiamo conto che non è la sicurezza – quella sicurezza tanto invocata e conclamata a sproposito – ma è la fiducia che ci libererà dal presente e da altri virus, specie quelli che possiamo classificare al di fuori della biologia.
Relazione, diversità, cambiamento sono parole per un vocabolario di vita aperto al vivere comune. Oggi più che mai ci sentiamo in una casa comune dove la questione “salute” diventa prioritaria, riguarda tutti. Quel “nessuno escluso” che spesso invochiamo per richiamare l’attenzione sui fenomeni di emarginazione e di diseguaglianza con i quali ci misuriamo quotidianamente, oggi ci preoccupa perché ciascuno di noi potrebbe essere coinvolto dalla malattia. Di fronte al virus non ci sono categorie. Le parole che oggi rileggiamo alla luce del contagio devono divenire la realtà del domani. Non il frutto di una emozione, di un momento ma la conseguenza di una riflessione. Non dico che se queste parole fossero state meglio considerate e vissute avremmo tenuto lontana la minaccia ma la lezione del virus ci insegna che, se davvero desideriamo star bene a casa, in ogni casa, in città, nel paese occorre prendere in mano il vocabolario delle buone parole.
Stare a casa oggi è per tutti una restrizione imposta (doverosamente) ma forse è anche il modo di riassaporare il gusto di stare in casa. Una casa serena. E quando esci hai la certezza di abitare una “casa comune”. La casa comune deve però essere davvero custodita e condivisa. A questo punto non possiamo non pensare a coloro che di fronte al virus hanno simili probabilità di essere contagiati ma non hanno la possibilità di abitare con dignità la casa comune. Ecco allora che, se è vero il desiderio di cambiare qualcosa nel nostro modo di vivere, se non è la paura che ci fa sentire più vicini (“mal comune…”) ma è di tutti la voglia di vivere bene le parole oggi scritte (relazione, diversità, cambiamento), allora tali parole si devono tradurre in un’attenzione a relazioni buone anche con chi vive realtà diverse, con coloro che non hanno dove abitare, con coloro che vorrebbero davvero cambiare la loro realtà fragile e diversa per contribuire al bene della casa comune.
Rileggere in questi giorni la Laudato si’ potrebbe essere una buona cosa per non sentirci isolati nel presente e per guardare ad un futuro sereno e condiviso.
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