di Gigi Borgiani
direttore

Distanze, mascherine, vaccini. Sono questi i rimedi essenziali proposti per ripartire, come si sta dicendo. Intanto: ripartire come e per dove? Se abbiamo imparato la lezione impartita dal Coronavirus, questo piccolo mostro invisibile, in queste settimane avremmo dovuto mettere nello zaino per il cammino del futuro alcuni farmaci salvavita che si integrano con le misure precauzionali adottate per contenere il contagio o per lo meno per ridurlo in termini di sicurezza. E, mentre ringraziamo tutti coloro che in un modo o nell’altro si sono spesi per la pubblica salute, proviamo ad approfondire i tre rimedi citati (ma prima permettetemi ancora una volta di mettere al primo posto gli operatori e volontari degli enti che si fanno carico delle persone più fragili e che non sono mai apparsi sulle prime pagine e che, non curanti dei pericoli – in molti casi i dispositivi di sicurezza sono arrivati tardi – con lo spirito di abnegazione e cura che li contraddistingue, sono rimasti sul campo con le persone più difficili).

DISTANZE
Per molto tempo saremo ancora invitati a distanziarci dagli altri con rispetto, perché una delle cose che abbiamo imparato è aver capito il significato della interdipendenza. Se non lo comprendiamo in tutta la sua globale valenza, accontentiamoci di vivere con la consapevolezza che la salute di tutti dipende dalla salute di ciascuno, che abbiamo bisogno gli uni degli altri, senza distinzioni, perché la pandemia non ha fatto distinzioni. Peccato, eravamo ormai convinti che la globalizzazione avrebbe definitivamente accorciato le distanze (tranne quelle relative alle migrazioni per fame e guerra) e invece siamo qui a soffrire perché non possiamo fare Pasqua con amici, parenti, con la comunità (che ci manca tanto ma che dobbiamo ripensare!). Ma distanza non significa distacco. Nel momento in cui abbiamo sofferto a causa dell’isolamento e sentito più forte il bisogno degli altri, non dobbiamo correre il rischio di ricadere nell’indifferenza. Se una certa paura ci tiene lontani questa non deve trasformarsi in diffidenza o chiusura. Il difficile futuro richiede un di più di relazioni, a livello locale e globale. Siamo sollecitati a recuperare sguardi e parole dirette per acquistare capacità di riconoscimento e fiducia. Il ricorso, spesso obbligato, alla comunicazione digitale, pur nella sua potenza, ha rilevato dei limiti, un essere insieme e non insieme, una insufficienza legata a quel contatto indispensabile per sentirsi persona.

MASCHERINE
Ci salveranno (in parte e per ora) le mascherine. Protezione minima per sé e per gli altri. Non diventino però maschere, fonte di anonimato. Maschere per non essere riconosciuti, per nasconderci, per tornare a quell’individualismo così comodo, così “fatti miei”, che ci fa credere indipendenti ma omologati. Le mascherine dovrebbero richiamarci al rispetto ma anche al controllo delle parole, evitare parole inutili o fuorvianti. “Nessuna parola cattiva esca più dalla vostra bocca; ma piuttosto parole buone che possano servire per la necessaria edificazione, giovando a quelli che ascoltano (…). Scompaia da voi ogni asprezza, sdegno, ira, clamore e maldicenza con ogni sorta di malignità. Siate invece benevoli gli uni verso gli altri, misericordiosi, perdonandovi a vicenda come Dio ha perdonato a voi in Cristo” (Lettera agli Efesini 4, 29-32). Prima di parlare, riscoprire le parole del nuovo vivere insieme, ripensare la cura del dialogo. Mascherine chirurgiche o altro per tutti! Doppia mascherina per chi non ha parole edificanti. Oggi siamo chiamati ad edificare e prepararci a liberare sorrisi di speranza e non rumori di confusione.

VACCINI
Arriveranno! Aiuteranno per uscire da questa pandemia. Forse la ricerca del vaccino avvicinerà coloro che hanno le competenze, unendoci in uno sforzo globale proprio perché ci si trova di fronte non solo ad un nuovo virus ma ad una situazione tanto sconosciuta quanto universale. Se il vaccino sarà il prodotto di una collaborazione e non l’appalto di una multinazionale sarà una grande vittoria. Se arriverà presto (speriamo) l’invocato vaccino, evitiamo altre vaccinazioni. Quelle che troppo spesso ci immunizzano dal vivere sociale, dalla coesione sociale, dalla partecipazione, dalla condivisione dei diritti, etc. Ci sono virus, malattie contro le quali non siamo ancora immunizzati; nelle nostre sicurezze s superficialità non ci accorgiamo di essere portatori sani di piccoli malesseri, di pensieri distorti.

UNA NUOVA REALTA’
Questo tempo ha restituito, nolenti o volenti, aspetti di vita quali il silenzio, la sofferenza, il sacrificio. Medicine un po’ amare, cancellate da una società che riteneva di essere onnipotente, di conoscere tutto, con fiducia cieca nella scienza, nella tecnica, nel denaro e che invece improvvisamente si è trovata limitata, fragile, insicura. Una società, come indicato da papa Francesco, chiusa nel paradigma tecnocratico, nella frenesia del di più, del sempre meglio, a tutti i costi, indirizzata dal binomio produzione e consumo che non fa altro che rendere ancor più evidente il binomio potere e denaro. Di colpo ci siamo trovati a fare i conti con quello che solo una fantasia distorta poteva immaginare, affidandoci alla estemporaneità di chi ha cercato, alla meglio, di prendersi cura, di farsi carico di un guaio imprevedibile ma che qualche radice in errori passati ce l’ha. L’isolamento cui siamo stati invitati certamente darà i suoi frutti; ma ci saranno altri inviti alla prudenza, al rispetto, alla cautela. Non pensiamo che la realtà completamente nuova di domani possa essere affrontata con gli strumenti di ieri. Le tre “S” – silenzio, sofferenza, sacrificio – sopra nominate sono una domanda per ciascuno, sono la chiave di lettura per il futuro. O l’uomo riscopre di avere una interiorità o, se si affida a sé stesso e alla materia, aprirà la porta ad altri virus naturali e sociali che renderanno la vita non vita, senza speranza.

UN TEMPO PER…
Bisogna recuperare capacità di generare e non di consumare, di essere e non di avere.
Per questo c’è bisogno di un tempo per il silenzio (per ascoltarsi e per ascoltare), per cercare senso.
C’è bisogno di un tempo per “soffrire”, per compatire: le tante troppe morti anonime, separate dagli affetti aiutano a riscoprire che la sofferenza non è una malattia, che fa parte della vita e che non possiamo nascondere dietro le apparenze, dentro una fuga continua.
C’è bisogno di un tempo per rinunciare (sacrificio)  a qualcosa in vista di ciò che conta, un tempo per uscire dai nostri appartamenti non per una agognata liberazione ma per fare casa, per curare insieme la casa comune.
Come si può vedere le tre “S” comprendono anche quelle di senso e di spiritualità e chiedono all’uomo di riprendere in mano se stesso, per passare dall’io a quel “noi” che forse solo in questo tempo abbiamo apprezzato.

(Foto: Sharon McCutcheon – Unsplash)

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