di Gigi Borgiani
direttore
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Non è stata certo una visita di cortesia, di poesia, di consuetudine, dal momento che siamo abituati a questo Papa pellegrino. Francesco ancora una volta è sceso in mezzo al popolo per gettare semi. “E ora tocca a voi – ha detto concludendo il suo discorso ai giovani, al Santuario della Guardia -. Io torno a Roma, ma voi restate qui: è qui che si gioca la vostra missionarietà.” Una giornata densissima in cui le parole sempre incisive, precise, stimolanti si sono susseguite offrendo spunti e sollecitazioni di cui l’eco dei media si è fatta carico e che non spetta a me recuperare. Ma ci sono alcune parole di sintesi che urgono, che ci dicono chiaramente che la “visita” del Papa, il suo stare con noi, non si esaurisce certo nell’entusiasmo del momento ma deve incarnarsi nella storia, oggi, domani.
Il richiamo alla missionarietà è salito forte con i giovani: le molteplici sfide del presente richiedono capacità di uno sguardo ampio, lo sguardo del navigatore. Il Papa li ha esortati ad avere “orizzonte e coraggio“, ricordando le caratteristiche dei grandi navigatori: orizzonte e coraggio per “missionare”, ha ribadito con uno dei suoi neologismi. Un vero e proprio mandato missionario: “Andate non come velocisti e conquistatori, ma come maratoneti speranzosi”.
E qui si inserisce la capacità di distinguere ciò che è normale da ciò che non lo è. Se in questo mondo così confuso e sovralimentato da messaggi annebbianti non sappiamo fare questa distinzione come possiamo essere portatori di speranza? Tra gli esempi portati a questo proposito: “È normale che il Mediterraneo diventi in cimitero? È normale?”. Di fronte a questo o si reagisce o si va alla deriva.
Da questa consapevolezza nasce la responsabilità, a tutto tondo: verso tutta la realtà dell’uomo, vicino o lontano che sia, giovane o meno. L’uomo senza lavoro che deve tornare al centro superando il gioco dei calcoli, degli interessi, superando le diseguaglianze senza cedere all’idolo del consumismo ma impegnandosi per la dignità, per il riscatto. “L’obiettivo non è il reddito per tutti – ha sottolineato infatti il Papa parlando ai lavoratori presso gli stabilimenti dell’Ilva – ma il lavoro per tutti“.
Le varie tappe della visita sono state quasi una lista delle “cose da fare”, o meglio delle tante realtà che spingono ad uscire dalla superficialità o dalla negligenza per accompagnare, per “fare strada con”. Le tante strade di Genova, la gente di Genova, lavoratori, sacerdoti e religiosi, giovani, ammalati, famiglie, poveri, profughi per un giorno sono il simbolo di chi vuol percorrere il cammino indicato dal Vangelo della Gioia. “Il Signore Risorto sia la forza del nostro andare, il coraggio del nostro camminare“, ha detto il Papa nell’omelia conclusiva in cui le parole più dense sono state “preghiera e annuncio”. “Come cristiani abbiamo il dovere di intercedere e pregare per tutti. Il mondo ne ha bisogno, noi stessi ne abbiamo bisogno”. Vivendo sempre in fretta, tra mille cose da fare e impegni da assolvere, il rischio è di smarrirci, richiuderci in noi stessi, “diventare inquieti per un nulla”. Con la preghiera portiamo a Dio i pesi, le persone e le situazioni: “La preghiera non è tranquillità, è carità. È chiedere, cercare, bussare. È esercitare una forza mite con la quale si possono anche fermare le guerre e ottenere la pace”.
Annuncio. Il Vangelo non può essere rinchiuso e sigillato, dunque occorre uscire da sé stessi e andare, con fiducia. “Il Signore ci vuole in uscita, liberi dalla tentazione di accontentarci quando stiamo bene e abbiamo tutto sotto controllo”. E ora tocca a noi, per non rendere vana una visita con il sapore della fede, del futuro, della speranza, della carità.