di Gigi Borgiani, direttore
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Il Ponte Morandi se n’è andato un mese fa portandosi dietro distruzione e morte. Oggi più che mai ci si rende conto della sua importanza e della sua indispensabile funzione, lasciando sul terreno una città ferita, centinaia di famiglie colpite e sfollate, case e cose distrutte o da distruggere in attesa di tempi migliori. Voglia di ripartire, di ricollocare, di risarcire, di ricostruire. Ricostruire il ponte presto e bene è senza dubbio la priorità. Purché non ci si areni nelle polemiche o si cada nelle reti della politica con la “p” minuscola. La tragedia, al di là delle emozioni, delle informazioni, dei video, delle supposizioni, delle polemiche, delle parole e delle promesse può, anzi deve, far pensare che se il crollo “pesa” sulla qualità della vita di città e cittadini, forse è anche il momento di ripensare la città. È il momento di guardare con lenti pulite una realtà sociale che, inavvertitamente, è soggetta ad altri crolli, non così violenti e tragici ma che minano il vivere sociale e non permettono, o meglio, compromettono un futuro di umanità e di umanesimo.
Più o meno consapevolmente assistiamo alla costruzione di muri, altro che ponti! L’urgenza di ripartire è senza dubbio strutturale. Ma se accanto agli aspetti “materiali” ed economici non ripartiamo dalla costruzione dei ponti delle relazioni, della responsabilità, della coesione sociale, dei doveri che mai devono essere sganciati dai diritti, fra qualche mese riavremo un bel ponte sul Polcevera, non avremo più sfollati e traffico ma avremo perso un’altra occasione di vita sociale per e con gli uomini del nostro tempo. Se oggi ribadiamo con forza che è compito e dovere delle istituzioni fare presto e bene per un ritorno alla normalità (anche se non sarà come prima!), ribadiamo con la stessa forza che è compito e dovere dei cittadini riappropriarsi della vita della città, riappropriarsi di una politica con la “P” maiuscola che significa non delegare, non lasciare che scelte ed orientamenti della vita della città, delle città e del paese restino in mano a chi fa voce grossa e promesse.
Il crollo del ponte è stata una bella sberla in pieno ferragosto, nel momento più tipico della vacanza, del riposo, della spensieratezza. Una sberla che ci ha riportato alla realtà faticosa di sempre. Vivere in città è faticoso. Si respira un malessere diffuso; aumentano le situazioni di disagio (oggi più che mai); si diffondono sentimenti di smarrimento, di sofferenza e di insofferenza. Non illudiamoci che il malessere possa essere superato dalle parole, dallo stile di chi pensa di mettere le cose a posto con qualche decreto senza tener conto che, se non si parte dalla considerazione delle persone, ci si troverà di fronte ad un acuirsi delle paure, delle intolleranze, della prevaricazione. Certamente c’è bisogno di sicurezza e di legalità, ma non di ostilità. Se davvero desideriamo una città vivibile, godibile, capace di guardare al futuro, occorre fare alcuni esercizi.
Innanzitutto esercizi di pazienza. Il traffico che soffoca da un mese la città è simbolo di pazienza (che non è rassegnazione). In questi mesi di rallentamento, proviamo a pensare la ripresa, a partire da ciascuno di noi.
Ripensarsi. Occorre esercitarsi in un paziente impegno personale che si incrocia con quello degli altri. Occorre rivedere i propri comportamenti nella prospettiva della costruzione.
Riconoscersi: Occorre esercitarsi a riconoscerci come persone gli uni gli altri, ad identificarci negli altri sapendo che anche gli altri sono chiamati al nostro riconoscimento. Occorre esercitarsi alla reciprocità.
Riconciliarci: se si desidera arrivare ad una realtà di condivisione, occorre rispolverare anche piccoli gesti di perdono. Perdono che può essere non pretendere, “sopportarsi” un po’ di più nelle piccole cose, accettare le differenze e cercare il dialogo.
Rinunciare. Non si tratta di fare voti particolari ma, ad esempio, di mettere da parte un po’ di tempo da condividere con gli altri per pensieri e gesti di costruzione. Rinunciare a qualche comodità e al mugugno, in modo da “compartire”, ovvero “far parte con”, con chi è costretto a rinunciare alla propria casa. Un gesto silenzioso ma che profuma di affetto, di amicizia, di costruzione.
A questi cinque esercizi possiamo aggiungere l’impegno a dare fiducia, a non lasciarci intorpidire o influenzare dalle informazioni non corrette, a mettersi in gioco, a partecipare.
Alla fine ci troviamo di fronte a scelte di relazione. Ecco la relazione, le relazioni. Sono queste che mancano se desideriamo fare rinascere in modo nuovo la nostra città. Possiamo adottare tutti gli sms che vogliamo, tutti i social che vogliamo, i video, le chat, le tv, ma se non ci guardiamo negli occhi, se non ci prendiamo per mano anche il più bel ponte possibile sarà solo un passaggio frettoloso, anonimo, senza futuro e senza speranza.