Sala gremita a Casa della Giovane, lo scorso mercoledì 21 settembre, per incontrare padre Mauro Armanino, missionario SMA – Società delle Missioni Africane, in occasione della presentazione del suo ultimo libro: “L’isola delle speranze rubate – Diario di bordo dal Sahel”.
Fondazione Auxilium, Tavolo Giustizia e Solidarietà e Centro Studi Medì – Migrazioni nel Mediterraneo hanno così offerto l’opportunità di incontrare il missionario alla vigilia del suo ritorno in Niger dove opera da oltre 10 anni. Il libro è dedicato alle migliaia di fratelli e sorelle migranti scomparsi nel Mediterraneo che l’autore immagina come cittadini di un’isola mai raggiunta.
“Non c’è niente di più grave che rubare le speranze alle persone – esordisce p. Mauro – ed è ciò che facciamo all’Africa: da qui il titolo del mio libro. Ho scelto invece il sottotitolo “Diario di bordo dal Sahel” perché il libro narra storie di ordinaria sofferenza, prima lungo le strade che attraversano il Niger, accompagnate da vento, sabbia e dolore, poi sui barconi nel Mediterraneo. Testimonianze di disperazione, violenza e follia, corruzione e manipolazione. L’altra faccia della medaglia dell’umanità, quella che non conta.”
Sono le storie di oggi, nascoste troppo spesso in fondo al mare, dalla indifferenza e dai pregiudizi di tanti, di troppi. Quei tanti “che dimenticano – ha ricordato Armanino – che è l’Europa il continente con il maggior numero di persone che migrano, mentre la maggior parte degli africani resta a casa loro”. Tra l’altro il Niger, il terz’ultimo paese più povero economicamente dell’Africa, accoglie ben 800.000 migranti, rifugiati da altri paesi africani o respinti alle frontiere. Già, si chiede e ci chiede Armanino: quali sono le frontiere che ci portiamo dentro e che trovo in me?
“La prima grande frontiera è quella dell’Occidente – risponde il missionario -. Questa frontiera è ciò che genera tutte le altre, anche quelle già presenti in Africa, come ad Agadez in Niger dove molti migranti sono bloccati e rispediti al mittente. Ma all’origine c’è questo: la presunzione europea occidentale di essere al centro del mondo e di dettare legge a tutti. È ora di finirla. Per questo tipo di Occidente tutto diventa merce e le persone perdono importanza. Impera l’individualismo mentre altrove ho trovato il senso e la pratica della comunità. Queste frontiere che ci portiamo dentro diventano muri verso gli altri, nelle nostre società e verso quelle straniere. Tutte queste frontiere portano al risultato di un tradimento. Tradimento delle nostre parole che non corrispondono più alla loro sostanza. Chi di noi crede ancora alle promesse? Chi di noi prende sul serio le promesse della politica, ad esempio? E questo non corrisponde forse al tradimento dei nostri stessi sogni?”
In conclusione Armanino ha indicato due prospettive: “Innanzitutto bisogna riumanizzarci, riumanizzare i legami, le relazioni, le persone. Bisogna fare un bagno di umiltà. Bisogna decentrarsi, tornare ad accorgerci di quel Lazzaro che giace piagato ai piedi delle nostre tavole imbandite. Solo quando diventiamo mendicanti anche noi riconosciamo l’altro”. In secondo luogo dobbiamo cambiare il nostro sguardo, uno sguardo diverso sull’altro capace di smantellare le frontiere. Lo straniero che arriva è il nostro specchio: il modo in cui trattiamo gli altri dice che tipo di società siamo. Ma la speranza non è perduta. “Nella mia esperienza di missionario ho trovato lì, in quei posti, tutta la speranza mentre qui, nel nostro occidente, non ne trovo più, trovo maschere tristi e senza futuro” ha concluso p. Mauro.
All’incontro era presente anche p. Gigi Maccalli, anch’egli missionario della SMA, rapito nel 2018 in Niger e rilasciato dopo due anni di prigionia. Nel suo breve intervento ha sottolineato importanza e valore della libertà. “Non togliamo il diritto e la libertà di partire o il diritto e la libertà di restare a chiunque ne abbia necessità. Quando sono stato rapito ho capito cosa significa essere liberi. Anche lo slogan ‘Aiutiamoli a casa loro’ che ogni tanto ritorna non è accettabile. Non c’è casa mia né casa tua. Siamo tutti cittadini del mondo che è la nostra casa comune, come sempre ci ricorda Papa Francesco”.